capitolo 5 - Fuga in contrappunto.


        
 
    5      Fuga in contrappunto.

 

“Pomeriggio torrido, il sole spietato cavalca il vento del deserto sollevando una polvere arsa che pesa sui nostri anni.

Questa mattina ci siamo recati al Cairo per acquisti, ci serviva carta, inchiostro, te e cibo. Abbiamo comprato due galline, con le loro uova troveremo sollievo alle zuppe di cavolo di Ali.

I turchi hanno ripreso il controllo della città nonostante gli inglesi non abbiano tolto il loro piede. Ovunque penzolavano dalle forche i simpatizzanti del corso, l’anticristo lo chiamano, ora la piazza è pulita e la vita è tornata normale.

Al ritorno un’amara sorpresa. La casa era stata rovistata, tutto era all’aria, la copia del libro che per precauzione avevamo sistemato sul leggio al posto dell’originale era scomparsa.

Il tempo di rimettere ordine ed è arrivato il mercante trafelato, la faccia gonfia, un occhio pesto e nero. Dopo un breve scambio di salamelecchi ci ha proposto di ricomprare il libro, al nostro rifiuto ha mercanteggiato fino ad offrire cinquantamila sterline.

Naturalmente abbiamo rifiutato, i soldi non ci interessano, sentiamo l’ombra della vecchia con la falce fiatarci sul collo ed il poco tempo che rimane preferiamo dedicarlo alla ricerca. Quando se n’è andato era infuriato, agitava i pugni, malediceva ma noi tenevamo il revolver sul tavolo a portata di mano e la cosa è finita lì, per il momento. I fatti suggeriscono prudenza, qualcuno vuole il nostro libro e quel qualcuno deve essere molto potente.”

 

“Per la clava di Ercole!  Ixo ci ha stregati, il nostro corpo la brama, non facciamo che pensare a lei, dopo i bordelli della Grecia, di Babilonia e della Persia mai avremmo creduto possibile una cosa simile. Malediciamo la nostra fuga rimproverandoci la facilità con cui ci siamo fatti coinvolgere da un assurdo timore.

Abbiamo passato il mattino nella sauna tra vapori ardenti e bagni gelati, massaggi, discorsi di filosofia, tutto inutile. Nella nostra mente Ixo sta divorando la ragione, l’istinto virile che credevamo morto per sempre si è risvegliato al tocco delle sue mani, mai come ora i dardi di Eros sono penetrati tanto profondi.

La concomitanza del nome con la Ixo del libro è un caso? L’occhio del prete e la sensazione di aver vissuto quella scena in una vita precedente ci turbano. La metempsicosi di Socrate, Platone ne era certo, il fato e le azioni seguono l’ideale nel tempo.

Fortunatamente la ragione domina ancora il nostro istinto, per fuggire al desiderio di tornare ad Alessandria e comprarla, costi quel che costi, abbiamo ripreso il lavoro. Dante ci guardava sogghignando e durante la traduzione non facevamo che  pensare a lei, una prostituta! Quei suoi giochi erotici, vergine istruita all'estasi, in questo momento con chi? Gelosia? Impossibile!

Il tempo aprì la sua porta e tornammo a Tebe.”

 

“Chiusi, murati vivi, prigionieri in noi stessi. Dov'è la luce del giorno, dove brillano le stelle, il vento, i profumi dei boschi, l’orizzonte del mare?

Quel che è avvenuto è stato veramente un sogno, un’allucinazione, uno scherzo del prete, dell’indovino o che cosa? Sobbalziamo ad ogni rumore con la speranza di vedere Ixo entrare, la statua non occorre più, il prete è stato categorico, i servi ridono senza dir nulla, impossibile uscire, la porta è sbarrata.

Dove è il fuoco della sua carne, la brama dei suoi denti, la fame d’amore?

Il simulacro di marmo e la voce dell’indovino ridondano nei pensieri: “Firma, una semplice firma, il sangue sul tuo nome.”

Senza lei non è vita, accarezziamo il marmo e la vediamo ancora  posare tra sguardi  e sorrisi invitanti, la sua voce, la sua carne, la vediamo fuori e dentro di noi, nella statua, la scaldiamo di desiderio e la incidiamo, particolari nei particolari immaginando  di toccarla, di penetrarla.

Viviamo divisi tra la statua ed i fogli dove annotiamo le visioni della pazzia che ci sta divorando, sapere, non sapere, il suo corpo a pezzi, tutto quel sangue, cosa è accaduto veramente, cosa abbiamo fatto?”

 

“Per la clava di Ercole! Dovemmo interrompere, sentivamo il fato incombere su quelle parole e scorrere nel sangue. La statua, Omer, Ixo. Per l’irritazione apostrofammo Dante prendendocela con quei maledetti geroglifici che dicevano e non dicevano obbligandoci ad una traduzione approssimativa e faticosa.

Dante si stupì e disse una cosa che annotammo  nel contesto.

“Possibile? Un discepolo di Platone non vede l’idea nella parola, il movimento, l’azione, il significato nell’immagine?”                      

 

Il papiro successivo era incollato. Lo stavamo inumidendo quando venne Alì a chiamarci per una visita.

Dopo il furto della copia e l’offerta del mercante avevamo previsto un seguito, per prudenza riponemmo il libro nel nascondiglio e andammo alla porta combattuti tra la curiosità ed il timore.

Sulla soglia c’era un vecchio prete vestito con un barracano nero e polveroso impregnato di sudore. Teneva la testa nascosta in un cappuccio e fummo subito colpiti dallo sguardo: aveva un solo occhio, il sinistro, che brillava malefico tra le palpebre socchiuse mentre l’altro era acquoso, senza pupilla, spento.

Lo accompagnava un nano deforme, gobbo che trasportava sulle spalle un pacco voluminoso e trascinava un capretto legato ad una corda. Poco lontano era posteggiato un carro con un asino al tiro, stava piegato sulle gambe e brucava i radi fili di paglia sparsi sulla sabbia.

Si presentò dicendo di essere il rabbino di una comunità polacca dal nome impronunciabile in viaggio verso Gerusalemme, di aver tanto sentito parlare del nostro lavoro e desiderava conoscerci per uno scambio di idee, disse proprio così, uno scambio di idee. Parlava un inglese stentato, cantilenante, con un forte accento jiddish.

Lo invitammo ad entrare ma lui non volle, fissandoci con quell’occhio torvo fece un sorrisetto ambiguo accennando ad usanze e divieti, poi guardò il gobbo che subito si prostrò a terra posando l’involto delicatamente, lo scartò e col contenuto in pochi minuti montò un piccolo padiglione sul lato in ombra della casa con  un tavolo ed uno sgabello.

Il prete si sedette e ci invitò a una cenetta tra amici.

Accettammo curiosi di vedere il seguito. Quell’occhio continuava a fissarci, tenevamo lo sguardo altrove ma lo sentivamo incombere tagliente, ipnotico.

Dicemmo ad Alì di portare una sedia e ci accomodammo di fronte a lui.

Il servo aveva acceso il fuoco, sgozzò il capretto facendo colare il sangue sulle fiamme poi rapidamente lo spellò e fece a pezzi per arrostirlo.

 Il profumo ci fece tornare il buon umore ma solo per dire, continuavamo a sentire quell’occhio fissarci e mentalmente lo associavamo al prete di Omer, sentivamo la storia, il passato ripetersi, avevamo già conosciuto quel prete ma non ricordavamo quando.

Tirò fuori dalla tonaca una bibbia sgualcita dall‘uso, la aprì a caso, lesse sottovoce un versetto e rimase qualche secondo a meditare. Posò la bibbia sul tavolo e da sotto lo sgabello prese un otre gonfio, lo stappò profumando l’aria di  vino e riempì due bicchieri.

Brindammo alla sapienza, il vino era buono, inebriante, fresco.

Iniziò a raccontare le disavventure del suo viaggio, disse che la nostra fama di archeologo era giunta in Polonia e che dalla partenza agognava il nostro incontro certo di poter approfondire la ricerca che stava compiendo riguardo l’origine del suo popolo.

Rispondemmo di non avere molte nozioni a riguardo e di non sapere nulla che potesse interessarlo, lui ammiccò con l’occhio e riempì i bicchieri, il servo servì il capretto e cenammo con appetito. Al termine eravamo leggermente brilli e parlavamo come vecchi amici.

Disse: “Ho conosciuto un mercante che afferma d’averle venduto un libro, una reliquia, una traduzione in greco dall’egizio riguardante fatti accaduti miliaia di anni fa  che potrebbero riferirsi all’esodo di Mosè.  Mi piacerebbe tanto poterlo consultare.”

“Questo non è possibile, ” rispondemmo,  “il mercante ha esagerato, anche a noi disse una cosa del genere ma per il momento non abbiamo scoperto altro che la riedizione di un antico mito greco, nulla a che vedere con gli ebrei. Lo stiamo traducendo, se ci lascia un recapito quando avremo finito saremo lieti di spedirgliene una copia."

Il prete chinò la testa ma non l’occhio: “Guardi come sono vecchio, non le faccio pena? Potrei morire da un momento all’altro, per me il tempo è prezioso. Non potrebbe farmi dare almeno uno sguardo?”

“Impossibile! per consuetudine quando lavoriamo ad un reperto non vogliamo interferenze.”

“Capisco, ” disse in tono umile versando altro vino, “Lei è uno studioso serio ma per me, mi guardi, membro di un popolo disprezzato, cacciato, non le faccio pena? Lei crede in Dio?”

“Crediamo solo in quello che vediamo e che si può toccare.”

“Capisco, uno studioso, mi guardi, la supplico, quel libro potrebbe essere un sollievo per la mia vecchiaia, dopo potrò morire in pace convinto di aver fatto tutto il possibile. Mi parli almeno di quel che ha tradotto.”

II vento che soffiava dal deserto trascinava le ombre della sera, il pasto ed il buon vino conciliavano le nostre intenzioni e gli raccontammo tutto o quasi, per un residuo di cautela che ancora resisteva omettemmo ogni riferimento alla Sfinge.

Lui ascoltava bevendo le parole e continuava a versare vino fin quando l’otre fu vuoto.

“lnteressante.” disse al termine, “Uno storico greco discepolo di Platone ed uno scultore egizio, curioso abbinamento, la parte in cui parla della fuga degli schiavi col faraone Amoesse potrebbe avere attinenze con la mia ricerca, Amoesse per la cabbala è un nome legabile, i riferimenti ci sono. Lei è uno studioso serio, sa che l’esegesi dei testi antichi richiede una conoscenza profonda dei miti e delle tradizioni orali tramandate, possiedo una vasta cultura sull’argomento, se unissimo i nostri sforzi, se lei mi permettesse di aiutarla potremmo..."

Lo interruppi: “Assolutamente no! Il libro è nostro, nostro!” esclamammo di getto, con foga.

“Capisco, ” disse il prete con tono umile, non importa, io sono ebreo, disprezzato, maledetto, la nostra maledizione a causa di una donna, lei conosce la genesi, la storia di Eva, la voglio aiutare comunque. Lei è geloso del suo lavoro, è giusto, anch’ io lo sono e mi comporterei così, mi guardi, non le faccio pena?”

“Mi guardi.” diceva, intanto puntava l’occhio e cercava di ipnotizzarci, il vino ci aveva sciolta la lingua e rispondemmo: “Non ci fa pena, la  religione è solo volgare superstizione, sono i vili e gli idioti che incolpano le donne dei propri errori, voi condannate il male ignorando la causa, avete fatto religione di una menzogna.”

Il prete non si scompose: “La sua è un opinione da uomo dotto che intende solo i teoremi dimostrabili matematicamente ma questo è un mondo crudele, gli uomini sono apparenze sotto la cui scorza si nascondono istinti primordiali innominabili e vanno addomesticati con pazienza. L’odio per l’ebreo è radicato, il nostro popolo cammina su una strada di sangue e di ossa ma non ci sottovaluti. Le storie sono fatte per essere raccontate ma il loro scopo potrebbe essere altro, l’interpretazione dei testi è arbitraria ed il significato diverso da quel che appare, la cabbala studia le parole indipendentemente dal significato apparente, le faccio un esempio: la maledizione nega, la negazione inverte e quel che appare sono simboli, idee che si accordano per altri significati che solo coloro che hanno il segno possono capire.  Timshel disse Dio a Caino.

Ora la lascio, è tardi e voglio rientrare prima che annotti. Se non le dispiace tornerò ancora a trovarla, gli uomini di vera cultura, che capiscono, sono così rari ed è sempre un piacere conversare anche se le nostre idee non sono le stesse.”

Accettammo di rivederlo, il suo occhio penetrava e sentivamo il potere latente che nascondeva.

In pochi minuti il servo smontò il padiglione, lo caricò sul carro e senza dir altro si allontanarono in direzione del Cairo.                                 

 

“Questa mattina ci siamo svegliati, se così si può dire, scagliati fuori da un incubo, fuori o dentro perchè nulla era cambiato e non ricordavamo nulla, assolutamente nulla, neppure il nostro nome, dove eravamo, nulla!

La mente persa nell’oblio del vino, il nostro corpo rifiutava di muoversi, continuavamo a vedere il libro volare in una notte dove stelle erano gli incendi di intere città che bruciavano tra le urla degli abitanti e terra un abisso che precipitava senza fine, il libro aveva denti acuminati che battevano tra le pagine e ci inseguiva nel baratro per divorarci, sul fondo un mare di lava incandescente ribolliva e aspettava, vedevamo l’attesa mentre il libro ci inghiottiva, brano dopo brano.

Per la clava di Ercole, la storia si ripeteva! La luce della ragione s’alzava lentamente illuminando ricordi spezzettati che s’allungavano a formare immagini discontinue da  un caos iniziale e si ordinavano in sequenze dove eravamo immersi  nell’orrore:  Ixo giaceva sul pavimento  smembrata   col ventre e la vagina dilaniati da morsi bestiali in una pozza di sangue che si allargava ruscellando dalle ferite mentre qualcuno ci percuoteva violentemente.

Incubo o realtà? Ci siamo alzati, barcollavamo come nave in tempesta, un oceano invisibile ci sballottava, la vista annebbiata, riconoscemmo la nostra stanza, camminammo in avanti, passo dopo passo, tuffammo la testa nell’acqua gelida, il corpo, la mente, finalmente ritrovammo il controllo.

Le porte erano sbarrate e nessuno rispondeva ai nostri richiami, continuavamo a vedere il corpo di Ixo nel sangue ma non ricordavamo né cosa era successo prima né chi ci aveva rinchiusi in camera.

Smettemmo di battere alla porta. Avevamo il viso e il corpo segnati da lividi ma ci rifiutavamo di credere di essere gli autori di quello scempio.

La ragione tornò a scorrere nel suo alveo, confrontammo l’accaduto con la storia di Omer, non poteva essere un caso, anche lui non ricordava nulla e fu percosso sul posto, è evidente, era drogato e volevano che si ricordasse, un complotto dunque e noi ci siamo caduti come allocchi! I nostri sospetti erano fondati, la trappola doveva scattare già ad Alessandria, quegli uomini che aspettavano fuori dalla porta, certo! Questa volta si sono premuniti di farci assaggiare prima la vittima ma se sperano di incastrarci si sbagliano. Chi possono essere? Il prete certamente, Tolomeo e Taide, lei ci attirò buttando l’esca.

Chi ci aveva riportati ci aveva anche lavati e cambiati d’abito ma tracce di sangue resistevano sulle mani ed intorno alla bocca, le ripulimmo accuratamente evitando di pensare.

Sul tavolo c’era il nostro libro intatto e l’occorrente per scrivere, la cosa ci sorprese, sembrava un invito ma non ci ragionammo sopra. Nell’attesa di conoscere gli eventi ci sedemmo per stendere la cronaca di quel giorno infausto.

Iniziò ieri nel pomeriggio. Un servo venne ad avvertirci che era arrivata Taide con un seguito numeroso ed erano entrati  senza permesso, si sentiva il baccano dalla porta aperta.

Stavamo discutendo con Dante sull’alfabeto figurato dei geroglifici che iniziavamo a capire, dovemmo interrompere per andare incontro all’ospite che ci aspettava nel salone dei ricevimenti.

Taide, vestita come una regina egizia, era seduta sulla portantina con i simboli del serpente e della luna sorretta da due negri giganteschi, castrati, regalo di Alessandro, che la scortano ovunque. In disparte c’era un uomo incappucciato vestito con una lunga tonaca nera di cui si intravvedeva solo la luce malefica di un occhio nell’ombra sotto il cappuccio.

Taide saltò giù dalla portantina leggera come una farfalla nello splendore e nei tintinnii dell’oro e dei gioielli che la ricoprivano dalla testa ai piedi, una nuvola di capelli ramati intorno a quegli occhi nerissimi e ammalianti per cui tanti uomini avevano perso la testa. Profumava di miele di violetta e ci saltò in braccio baciandoci le labbra con le sue accese di rossetto, ci morse un orecchio e disse: “Vecchio lupo, finalmente! Alla festa non mi hai degnata di uno sguardo, non mi ami più?"

Accennammo una scusa di convenienza e lei continuò: “Non dire nulla, i filosofi son sempre con la testa fra le nuvole dietro i voli dei loro stupidi ed inutili ragionamenti, per voi le donne son tutte Santippe, noiose e petulanti. Mi sono invitata, hai visto? dimentica i sofismi questa sera, facciamo baldoria, festa, cembali, flauti, tamburi, danze, cibo squisito, cascate di vino, amore, eros, aprite le porte, le finestre, fatelo entrare! Ho una sorpresa, poi vedrai, sei contento?"

Senza aspettare risposta ci prese per mano e ci accompagnò verso l’uomo incappucciato: “Ti devo presentare qualcuno di molto importante che arde dalla voglia di conoscerti.” disse senza dar peso alle parole, con sarcasmo velato, “il gran sacerdote del tempio di Ammon, non ricordo il nome.”

Il prete, senza curarsi delle parole di Taide, fece un cenno col capo.

Ricambiammo il saluto e li invitammo ad accomodarsi, chiamammo il servo ordinando un rinfresco e ci sedemmo con loro. Taide scrosciò in una cascata di sciocchezze riguardo il tempo, le inettitudini e le zanzare dell’Egitto poi con la scusa di dover organizzare la festa se ne andò seguita dai due negri lasciandoci soli con il prete.

Sentivamo il peso di quell’occhio che ammiccava continuamente, lo associavamo all'indovino di Omer, era solo un’impressione ma gravava come il silenzio che ci circondava.  Finalmente si tolse il cappuccio, aveva la testa glabra allungata come un uovo, le labbra tirate ed il naso sottile e trasparente come cartapecora, orecchie piccolissime e sprazzi di peli grigi sotto il mento. Non dimostrava età, l’occhio destro era spento, acquoso, il sinistro vivo e letale come la gola spalancata di un cobra del Nilo.

“Sono felice di conoscerla.” disse con  voce rauca, “La sua fama di studioso è universale, in tutto il mondo civile si parla dei suoi libri, lei ha superato Platone, la sua teoria sui movimenti ciclici della storia rapportati alle oscillazioni dei pesi sulla bilancia della doxa è geniale, l'esempio di Alessandro, che Ammon lo accolga nel suo paradiso, l’ha dimostrata.”

“Lei ci lusinga.” rispondemmo compiaciuti dalle sue parole, "non abbiamo fatto altro che continuare il cammino del maestro e raccolto i frutti che l’esperienza faceva cadere sul nostro cammino, la strada verso il sapere è ancora lunga, noi ci limitiamo a percorrere il nostro tratto.”

L’occhio del prete ebbe un guizzo e si puntò insistente cercando il nostro sguardo, disse: “L’umiltà distingue l'uomo che sa, l’altezza non si cura dei vermi che strisciano ai suoi piedi, Eterno è il nome della strada. Si trova bene in Egitto? lei ha seguito il dio sulla terra, ha conosciuto i fasti della conquista, è greco, abituato ad altra vita.”

Rispondemmo quasi scusandoci: “Per noi studiosi un tetto sulla testa, un boccone per lo stomaco e carta per scrivere, i lussi non sono necessari."

“Risposta degna di un filosofo, “ continuò facendosi più vicino, “spero non le dispiacerà sprecare un poco del suo prezioso tempo per parlare con un semplice prete egiziano che del mondo conosce solo le mura del suo tempio.”

“Lei si sminuisce, camminando per Menfi abbiamo visto ben altro.”

Il prete rise: “Non badi alle apparenze, le ragioni della vita pubblica sono l’essenza dello stato, il popolo è molto religioso ed ama lo spettacolo.  Ho portato con me un vino prezioso coltivato nelle nostre terre, rarissimo, un vero nettare degli dei, se vuole assaggiarlo.”

“Il buon vino è sempre gradito nella nostra casa."

Emise un debole fischio e da un angolo della sala sbucò fuori un nanetto gobbo e rattrappito che velocemente, tenendo la testa china in atteggiamento sottomesso, posò sul tavolo due ciotole e le riempì con un liquido ambrato che teneva in un otre. Il profumo del vino si sparse nell’aria inebriante.

Il prete sorseggiò un goccio, assentì compiaciuto poi sollevò il bicchiere invitandoci ad un brindisi.

Il vino era buono, fresco, scorrevole. Iniziammo a parlare di Platone, volle sapere di Atene, delle usanze e della disciplina dell’Accademia ed intanto i bicchieri si svuotavano ed il servo continuava a riempirli.

Per la clava di Ercole! Non siamo ubriaconi ma quel vino era veramente squisito ed il prete, il suo occhio continuava a fissarci, intercalava nel discorso: “Mi guardi, non le faccio pena?”

Ad un certo punto disse: “So che sta traducendo un libro molto antico che riguarda il passato della nostra terra."

“E’ vero, il libro è antico." risposi, allarmato dal suo interesse, "nulla di importante, soddisfiamo la curiosità di conoscere il vostro misterioso alfabeto. Non credevamo la cosa fosse di dominio pubblico.”

“Non si stupisca, l’Egitto è un piccolo paese ed il calligrafo che ha assunto è un membro laico del tempio, col nostro permesso lavora con lei, inoltre sapevamo del suo incarico e delle ricerche che ha fatto sulla Sfinge. Trova il libro interessante?"

“Interessante come studio, il contenuto segue le tracce di un antico mito greco, lei deve esserne al corrente, Dante le deve aver detto tutto.”

"Certamente, lei è un personaggio pubblico e non ha chiesto il segreto, il nostro tempio è molto interessato al suo lavoro e siamo orgogliosi che sia proprio lei a svolgerlo. Per l’esegesi dei testi antichi occorrono una grande sapienza e la capacità di muovere e collegare i concetti, sono rari gli uomini che si possono permettere tanto."

Il prete parlava ed il servo riempiva il bicchiere, non eravamo così sprovveduti da non capire, limitammo il bere ed iniziammo a pesare le parole.

Cambiando discorso dicemmo: “Ora che Alessandro è morto non abbiamo più interessi per la Sfinge, Tolomeo ci ha lasciato carta bianca con il compito di dedicarci completamente allo studio della vostra cultura e cercare una sintesi che la accomuni alla nostra per realizzare l’idea di impero universale voluta da Alessandro. La ricerca si rivolge esclusivamente al vostro alfabeto figurato che troviamo affascinante per quanto poco scorrevole e limitato rispetto alla nostra scrittura che permette una più vasta gamma di espressione.”

“Il suo è un giudizio affrettato.“ disse il prete ammiccando con l’occhio, una questione di mentalità. Il nostro tempio possiede una vasta biblioteca e la mettiamo a sua disposizione, basterà che ne parli con Dante, una vera miniera di informazioni.”

“Siamo onorati, quanto prima ne approfitteremo ma per il momento preferiamo continuare  con la traduzione, non ci piace lasciare i lavori a metà."

“Come desidera, non le nascondo che quel libro è stato rubato in un nostro tempio saccheggiato dai predoni persiani e per noi è stata una grave perdita ma voi siete i vincitori ed a voi spetta decidere.“

“Quando avremo finito la traduzione, col permesso di Tolomeo, saremo lieti di restituirvelo."

Il prete ci invitò a bere ancora, finse di bere a sua volta e disse: "Così voglia Ammon che tutto vede e tutto decide, in cambio della promessa le voglio dare qualche piccolo consiglio che le permetterà di comprendere meglio il nostro linguaggio, la nostra scrittura, la nostra mentalità.

Lei vede le parole e le frasi, le parti del discorso, rappresentate da un alfabeto di lettere che esprimono significati che le permettono di parlare, noi invece vediamo il suono, la musica evolversi in uno spazio ideale dove i concetti appaiono rappresentati da figure convenzionali, sempre le stesse, accordi sonori che esprimono il loro senso indipendentemente dal ragionamento, semplicemente per quel che sono.”      

"Il suo è un parlare dotto.” dicemmo catturati dalle sue mani che si muovevano ad indicare invisibili figure nell’aria, "Qualcosa del genere sostengono i Pitagorici riguardo il linguaggio dei numeri.”

“Pitagora fondò una scuola in Egitto.”

“Abbiamo capito ma non ci convince. Il non ragionare presuppone una verità immutabile, statica, dogmatica.”

“Esatto!“ esclamò il prete, "La vita è scandita dai suoi ritmi naturali, sempre gli stessi, non ragiona, perchè dovrebbero ragionare gli uomini? La verità sono gli dei e le leggi che hanno lasciato, a che serve conoscere altro?”

“Leggi di cui voi detenete il controllo.”

“Grave fardello per il bene comune, noi siamo i custodi della legge, il tempio!  ed il risultato è un popolo ordinato, semplice, ubbidiente.”

"Il vostro sistema può andar bene per I’Egitto forse ma le croci che  coprono la piana di Menfi la contraddicono.”

“Quella è guerra, anche la guerra fa parte dell’ordine naturale, come le bufere di sabbia nel deserto o le tempeste in mare, voi greci invece, coi vostri ragionamenti una nuvola la chiamate con mille nomi  e gli date diecimila significati e poi trascorrete  la vita a contraddirvi uno con l’altro, a che serve la ragione se la verità è perennemente contraddetta? La verità è una, la nuvola, un’immagine e la nuvola vuol dire che pioverà, essenziale come i nostri geroglifici e se pioverà il terreno sarà fertile ed il contadino potrà raccogliere e l’annata sarà buona, il movimento del segno si esprime in sé, la ragione è implicita, inutile.”

Continuava a parlare di immagini, di accostamenti di figure, di significati vaghi come nuvole allineate in un cielo privo di parole, non riuscivamo a stargli dietro, la testa ci girava, il vino, la voce cantilenante del prete, il suo occhio ipnotico, il tepore dell’aria, il profumo di Taide che ancora impegnava i nostri abiti, volavamo in quelle nuvole, eravamo ancora ad Atene ragazzi, ricordavamo le lunghe discussioni con Aristotele e gli altri scolari sul linguaggio dei numeri, nel volo le immagini erano numeri incastrati uno dentro l’altro ed ogni numero era nuvola.

 Entrò Taide come un fulmine, si sedette sulle nostre ginocchia e ci svegliò.

Il prete era scomparso, di lui ricordavamo solo l’occhio e poi più nulla. Taide disse: “E’ ora che ti prepari, la festa aspetta solo te!”

 

L’odore di cavolo appesta l’aria. In tutte le case di Giza lo stanno cucinando, non si trova altro, il nostro stomaco ruggisce disperato.

La traduzione procede tra mille difficoltà, la carta è fragile, ingiallita dal tempo, macchiata e gli occhi ci dolgono. Il tempo non conosce pietà, la sua frusta non fa distinzioni tra il corpo e la mente, stentiamo a mettere a fuoco le lettere, dovremo cercare occhiali più potenti.

 I personaggi dalla pagina di carta si trasferiscono in quella di carne della realtà. La storia ed i discorsi si ripetono, un’altalena tra parola scritta ed immagine ideale, ci sarà un nesso? L’indovino di Omer, il prete di Efesto ed ora la visita del rabbino, questo personaggio è sempre lo stesso?

Se fossimo superstiziosi potremmo rivangare la leggenda dell’ebreo errante, fortunatamente non lo siamo ma quando si lavora con i miti del passato l’unica certezza è l’incertezza, i morti non si possono interrogare e quel che è scritto non si può provare. L’archeologia del linguaggio scava nella terra di significati tramandati dal tempo, parole e frasi su cui sono state sovrapposte altre parole ed altre frasi, sulla strada la Sfinge pone le domande e richiede risposte precise.

Anche la figura di lxo si ripete, la sua morte atroce rimane un enigma, una messa in scena, forse una colpa a cui incatenare un non colpevole, la firma di sangue sul contratto dell’indovino da rinnovare vita dopo vita, oppure, se colpevole, un istinto primordiale, latente, coperto, che si risveglia al contatto di lei.

Non vogliamo credere all’ebreo errante ma se il rabbino dovesse tornare controlleremo se sotto la tonaca c'è carne o argilla.

Se i nostri sospetti sono fondati ora anche noi dovremmo incontrare Ixo, alla nostra età sarebbe ridicolo, la vecchiaia è una prigione, la negazione della natura, meglio non pensarci e vivere giorno per giorno.

Quando il vento soffia dal mare porta i rumori delle cannonate che la flotta turca e quella inglese stanno sparando alla parata militare, per il momento si mostrano i muscoli, la guerra è in agguato e per noi poveri mortali solo zuppa di cavoli.

Sospendiamo per qualche minuto, forse le galline hanno fatto un uovo, ce lo auguriamo.”

 

“Il profumo di Taide, gli occhi accesi della menade in calore, era inebriante.

Stava distesa sul divano con i piedi calzati d’oro appoggiati sulle nostre cosce e rideva, rideva, il suo corpo sussultava ed ogni volta le sete ed i gioielli si aprivano per mostrare angoli piccanti del suo corpo. Le lunghe marce dietro i sogni di Alessandro permettevano la confidenza ma non si era mai comportata così con noi e la cosa ci insospettiva. 

Parlò di Tolomeo che pensava solo alla guerra ed a emulare Alessandro, del prete che non le piaceva ed avrebbe voluto vederlo appeso per i piedi scorticato vivo e disse una cosa che riportiamo per esteso, nel contesto ci appare importante, troppe volte abbiamo iniziato storie sulla carta e le abbiamo viste continuare nella realtà, l’esperienza  insegna a non credere al caso:

“Dovevi esserci quando appiccai il fuoco alla reggia di Dario, come bruciava, tutta Persepoli bruciava, la città era in preda al saccheggio tra il crepitare delle fiamme e le urla delle donne violentate e degli uomini sgozzati, guardavamo dalla collina, ardevo dalla voglia, Alessandro era impotente, in quei momenti mi sarei fatta tutto l’esercito macedone, impazzivo dalla voglia!” 

Era ebbra e straparlava, per calmarla e riportarla alla prudenza che nell’ambiente del potere non è mai abbastanza dicemmo: “Alessandro è morto, perchè parlare di lui?"

Lei scoppiò a ridere: “Morto, morto finalmente, per me lo era già! Voi vili e pusillanimi lo leccavate tutti, io invece lo conoscevo bene, nessuno lo conosceva meglio di me, era pazzo, un burattino schiavo della sua idea di immortalità, di essere dio sulla terra, del suo esercito, dei suoi consiglieri, non l’ho mai visto prendere una decisione, era l’esercito, i generali che decidevano per lui, l’esercito avido di città da saccheggiare e quella era la direzione, l’oro, la ricchezza, la sete di sangue, Alessandro non conduceva, era condotto!

Hai mai fatto caso quando eri con lui? Tu parlavi e lui ascoltava, non diceva nulla, assentiva col capo o ripeteva le tue parole fingendo di capire ma in realtà non capiva nulla mentre i suoi scrivani trascrivevano ogni parola che dicevi, poi si riuniva coi suoi generali ed erano loro che dovevano capire, tu! eri tu, ah ah ah, avevi diviso i popoli da conquistare su un albero di mele e gli indicavi i frutti maturi, quelli che erano da raccogliere e quelli che era meglio aspettare e non sbagliavi mai!”

“Per la clava di Ercole!” esclamai, acceso d’orgoglio, “L’idea camminava davanti all’esercito, ci informavano ogni giorno, sapevamo dove il peso della doxa era favorevole, era il nostro lavoro!”

“Ah ah ah, pazzo! tutti i filosofi lo sono, persi dietro le parole non vedete quello che vi circonda, cercate la vetta e inciampate sui i vostri piedi, tu, eri tu che guidavi l’esercito! Alessandro era un mito, era stato creato, plasmato per esserlo, tu non sai, dietro di lui... “

Eravamo euforici ma non al punto di non capire che quelle parole potevano costarci la testa e glielo dicemmo.

Lei continuava a ridere, i suoi piedi non stavano mai fermi, battevano, strusciavano sulle nostre gambe, il suo corpo, la sua carne era piena, profumata, calda, sentivamo il suo sangue scorrere ardente sempre più vicino, in quei momenti non pensavamo ad Ixo.

 Si calmò improvvisamente, di colpo divenne serissima e disse: “Stai attento, quella gente adesso si interessa a te, loro non sono pazzi e sanno quello che fanno. Ti sei divertito al bordello di Alessandria? Bella lxo, bellissima, più bella di me? Che importa, nessuna lo è, ti è piaciuta? hai gli occhi persi, ti sei innamorato, ah ah ah, un bel regalo, vergine, bella, giovane, piace anche a me, me la farei, quasi quasi, non ti sei stupito? Sono una donna e mi piace vivere alla grande, Alessandro me lo permetteva, le donne non sono sofismi o leggi filosofiche, sono carne, fuoco, passione, il nostro è istinto puro, il nostro corpo parla più della voce e so che mi consideri una sciocca come tutte le donne ma stai attento, quella gente non dà ordini, non comanda, non si mette in mostra ma sanno muovere le pedine, sanno usare il talento degli altri, le passioni, le debolezze, sanno creare le situazioni, usano gli uomini come burattini e quando non  servono più… Alessandro è morto, capisci?”

Uno degli schiavi negri, una montagna di muscoli tesi e turgidi unti d’olio in gonnellino corto di leopardo venne a sussurrarle qualcosa all’orecchio, Taide saltò in piedi e tornò la donna di sempre. Disse: “Tutto è pronto, andiamo!”

Le sue parole non ci sorpresero, conosciamo la politica e sull’arte di mettere l’idea pesciolino all’amo per catturare la doxa abbiamo dedicato interi capitoli nei nostri libri, a che giova parlarne ora, in questo momento  con la follia di Eros e Thanatos che bruciano nella carne?

Quel che seguì sarebbe appropriato per una scimmia priva di ragione e non per lo studioso serio che credevamo di essere. La pazzia finirà come finiscono le ubriacature, siamo certi, per il momento bruciamo e continuiamo a scrivere, solo cosi riusciamo a tenere ordinato l’intelletto.

Caso, volontà degli dei o l’invisibile disegno della causa che indirizza l’effetto al risultato?  Il salone era stato addobbato con tutto il lusso e lo splendore che l’oro ed il potere di Taide permettevano, non conoscevamo il motivo di tanto onore ma che importava? Alle sue feste eravamo abituati e ci sentivamo leoni affamati in una giungla piena di leccornie.

Le tavole formavano un ovale nel cui interno ballerine luccicanti svolazzavano leggere tra veli e ventagli, altre danzavano all'esterno, a terra oppure sopra scudi sorretti da uomini giganteschi e muscolosi con la pelle unta arrossata dalle fiamme dei bracieri che ardevano ovunque, efebi nudi ed alati erano appostati ad ogni sedia col compito di coppieri, un’orchestra di satiri suonava su un palco ed altri danzavano battendo nacchere, timpani, campanelli, piatti, tutto era improntato all’erotismo, l’aria profumava di vino, di carne arrostita e del sudore profumato delle ballerine.

Alla festa erano invitati notabili macedoni, greci, egiziani ed altri, ci furono presentazioni, inchini, abbracci, ricordi confusi, Taide li aveva invitati, non conoscevamo, non toccavamo, guardavamo e poi ci sedemmo ed iniziò il banchetto. Il vino scorreva a fiumi, i profumi ed i sapori delle portate si armonizzavano con la musica e le danze e creavano un’impressione di acqua, di onde dentro alle quali venivamo immersi.

Taide era seduta a fianco, febbricitante, rideva, incitava alle danze, al cibo, ai brindisi e ogni tanto sentivamo le sue unghie artigliarci i muscoli o i suoi denti morderci la gola, l’efebo al nostro servizio, un ragazzino di tredici anni castrato dai tratti femminei, per mescere il vino si sedeva sulle nostre gambe strofinando il tenero culetto sul nostro membro che sentivamo gonfiare per la clava di Ercole. Ne vedevamo molti sparire sotto i tavoli a leccare tra le gambe di invitati ed invitate. Secondi minuti ore non esistevano più, il tempo si era fermato e nulla è più veloce, frenetico, vivo del tempo che si ferma.

Ad un certo punto l’orchestra tacque e le danze si arrestarono, si sentivano i respiri ansanti delle ballerine eccitare l’aria mentre Taide ordinò con voce squillante:

“In onore del più illustre filosofo del nostro tempo portate il piatto!”

Le luci si abbassarono, i tamburi rullavano in sordina, le ballerine iniziarono ad agitare lunghi ventagli profumati facendo aria sulla tavola.

i due schiavi negri di Taide arrivarono e posarono di fronte a noi un enorme vassoio coperto da una campana dorata. Nel silenzio generale sollevarono il coperchio.

Per la clava di Ercole, che sorpresa, che meraviglia!  Ixo nuda, la pelle cosparsa di crema, di miele, di marmellate, china in una eccitante posizione   ci mostrava il suo meraviglioso culo sopra il quale c’era un ricciolo, un codino di maiale di pasta di mandorle ed aveva conficcato nell’ano una banana punteggiata di uvetta e pistacchi e nella vagina un cannolo di pasta sfoglia ricoperto di cioccolata.

Ixo ci guardò e disse: “Sbrigati pappone, credi che mi diverta a stare così?”

Ebbrezza, la festa, i profumi della carne, non ci facemmo pregare .

L’efebo era scivolato sotto il tavolo e ci stava leccando il pene con arte, prendemmo i lombi di lxo tra le mani e li avvicinammo alla bocca, iniziammo a mangiare il codino tra gli applausi della sala, poi un morso alla banana ed uno al cannolo fino in fondo e dentro mentre Ixo strillava di piacere e la musica e la danza riprendevano.”                                                

      

                               Il bene ed il male


“Una maledizione! Il frammento è interrotto e le parti che seguono sono illeggibili.

Efesto inizia dalla fine e si cala nella trappola come un’idiota oppure quello che intende è altro da quello che scrive. Questo testo deve essere stregato, gli stessi personaggi sono pescati dal passato per essere trascinati ad oggi e rigettati al passato per essere ripescati al presente con aggiunta di particolari, quale destino lega Omer ed Efesto a noi?

Questa sera il caldo è torrido, siamo in un bagno di sudore, ci sentiamo, come ci sentiamo? Chiusi in una galera! Una prigione! Calma, riprendiamo il controllo, alla nostra età, l’esperienza, farsi impressionare così da parole, frasi, aria, nulla!

L’essere è umano, solo le bestie si fanno trascinare dalle parole.

E’ arrivato Alì, dice che c’è una visita, andiamo a vedere.”

 

“Ancora sulla carta, scrivere, il nostro corpo vorrebbe uscire dalla pelle come un serpente e come il serpente abbandonarla alla terra e rinascere. la tempesta è scoppiata, quel che temevamo è accaduto.

Fuori dalla porta c’era una bambina inginocchiata nella polvere, teneva la testa china, era vestita miseramente, sudicia ed un velo le copriva il volto.

“Cosa vuoi?” le chiedemmo.

Alì ripetè la domanda in arabo e lei rispose che aveva fame.

Dicemmo ad Alì di darle qualcosa e lei si mise a piangere e strillare e disse parlando inglese che non voleva elemosine ma cercava un lavoro, queste le parole:

“Quanti anni hai?”

“Tredici!"

“Che cosa sai fare?”

“Tutto, proprio tutto quello che vuole.”

“Come ti chiami?”

“Ixo.”

Sollevò la testa e ci guardò con occhi che splendevano di lacrime. In quel momento il vento cambiò e sul mare iniziò a tuonare.

Rimanemmo impassibili. Ordinammo ad Ali di darle da mangiare e di prepararle un letto da qualche parte.

 

 

     Il riflettore, idea letterale, un personaggio.


 

Ogni tanto si accende e punta la luce, non ha un punto fisso, vaga a piacere come a piacere fa qualsiasi cosa, l’oggetto da illuminare è il buio che copre la cripta di Iside, strati di buio da penetrare, una luce che "tocca“.

Illuminare il buio non è fare chiaro, un buio illuminato, si vede il buio, palpabile, una nuvola di buio e quel che c’è dentro è un’interpretazione puramente letterale.

Il buio non è luce, il riflettore cerca se stesso, un’allegoria iperbolica, un climax linguistico o linguaccistico, per ironia un’accezione  monofonica del segreto di pulcinella, per uno  per qualcuno e per nessuno, la luce si ritorce per illuminare se stessa, problema logico per intelletti fini, illuminare la luce, ci dovrebbero essere due luci, una che illumina ed una che viene illuminata, un paradosso, il riflettore è uno e illumina il buio, la mediazione è tra luce e buio, il nome non è forma, la forma della luce è il buio, un buio illuminato e l’illuminato non è luce.

Si accendono i padiglioni e la favola continua.

"Perdonatemi...non ho capito, vuol dire che quel che c’è scritto lì prima non c’era? Qui mi disprezzano tutti ma se non ci fossi...non capisco, quel libro, possibile?…la banana nel culo ed il cannolo...che vuol dire?… lei fa le indagini, perdonatemi, io, possibile?”

Lo Sguardo guarda Esopo che s’illumina avvampando di rossore.

“L’interpretazione?  meglio non capire, è scritto così, a noi che importa? Il messaggio si ripete nel tempo, le parole non sono il messaggio, il messaggio è uno, le parole sono tante, la forma del messaggio sono le parole.”

“Perdonatemi...non capisco, che fa? Si mette a fare il filosofo? Parli chiaro, ecco! Adesso penserà…”

“E’ quel che si vede, quel che c’è scritto.”

“Scritto?…perdonatemi, sono dei porci, si mangiano, si mordono, fanno delle cose che...qui mi disprezzano tutti ma...non capisco, c’è stato un delitto, lei legge, il vecchio ha scritto quel libro ma scrive di uno che scrive di uno che scrive e poi torniamo qui ed io...perdonatemi, che indagine è?"

Lo Sguardo allunga una mano per accarezzare il martello e risponde: “Il metodo non si discute, il delitto c’è stato e questo è un sogno, il delitto in un sogno può avvenire solo come intenzione. Ragioniamo, il sogno è effetto, il sognatore causa, il sognatore non è il sogno, cerchiamo l'intenzione e troveremo il colpevole.”

"Perdonatemi, il delitto?...come si fa?… adesso penserà che...l’ha vista anche lei, il piolo nel cuore e poi nel culo ed il vecchio...ma sono morti, come fanno? loro sono morti ed il sarcofago è vivo, una tomba…perdonatemi, è un sogno dice, va bene è un sogno, ma chi sogna? l’ha detto…perdonatemi, troviamo l’intenzione ma come fa? Lo diceva anche il vecchio e poi è morto. E’ un sogno dice? Allora tutto è sogno...perdonatemi, che sogno è? Vuol dire che io? Perdonatemi, adesso penserà…qui mi disprezzano tutti, la colpa è sempre mia, lo vede anche lei, le sto parlando, perdonatemi…se le parlo non sto sognando, eh?...perdonatemi, io...non capisco.”

“lnteressante, capire non è importante, un sogno è nulla ed il nulla non si può capire, è nulla...guardiamo il sogno, quel che si vede, senza commenti.”

“Perdonatemi, questo lo diceva anche il vecchio, come fa? Non capisco, chi poteva avere l’intenzione? lei mi disprezzava ed io, lo vede anche lei, ridotto così come potevo, insomma, chi è morto, quale delitto se è un sogno? Perdonatemi… "

Lo Sguardo sorride: “Non è difficile, anzi, abbiamo abbastanza elementi per tracciare l’identikit dell’assassino, deve essere uno con molta fantasia che sa prevedere senza essere previsto, un’astuzia capace di mascherare il movente facendolo apparire come effetto e l’effetto che si vede, il movente, non è indirizzato alla vittima ma a qualcun’ altro.”

"Perdonatemi, adesso penserà che. . .lo vede anche lei, come potrei, a chi?”

“Elementare Esopo, se non è il sogno è il sognatore."

“Non capisco, perdonatemi...qui mi disprezzano tutti ma...vuol dire che il sognatore sta sognando di uccidersi?

“L'apparenza è così ma l’apparenza maschera il movente e il sognatore l’aveva previsto, chi prevede ha sempre uno scopo, un fine.”

“Perdonatemi, io...non capisco, adesso penserà che...però io...lo vede anche lei... è un sogno dice?...allora perdonatemi, io sono...anche lei...un sogno, ma  perchè così?...chi mi sta sognando..se potessi io potrei...perdonatemi, non capisco, ma allora…eh? le sembra giusto, ridotto così?…”

“Lo vede come un male?”

“Perdonatemi...lo chiama male? Che cos'è? lo vede anche lei…”

L’apparenza vediamo e sappiamo che è effetto di una grande astuzia, questa indagine può riservare colpi di scena inaspettati, è solo questione di pazienza.”

Il riflettore si sposta. Panoramica del sogno. Il vecchio continua ad inculare la morta con il piolo, l’immagine non ha movimento e non esprime alcun piacere, il sarcofago assorbe il significato fremendo di vita repressa, una forma affusolata, compatta, determinata.

La statua di Iside splende sotto il riflettore, immutata nei secoli, millenni, rotolamento al contrario di anni che appare sulla pagina, il pennello dell'Arte dipinge l'abito che veste il significato.

I padiglioni brulicano di vita sognata, puttane senza maschera, maiali antropomorfi dalle forme provocanti, tette a mongolfiera, culi a schiaccianoci, gambe in nero nylon stracciato e gorilla muscolosi dai cazzi enormi, apparerenze di vecchi impotenti uniti nell’orgia, nessun amore, solo fottere, fottere.

Buio illuminato dal fuoco fatuo di un immenso cimitero con le tombe scoperchiate.”

Dalla poltiglia di vermi prende forma il fumetto fosforescente di un uccello nell’accezione di cazzo, l’immagine è nebulosa ed il movimento impalpabile, dall’erezione la sensazione di una continua sborrata che dal getto cala come manna evanescente sul buio della cripta.

“Perdonatemi...questa cosa...adesso penserà...che ci fa? non capisco, è un sogno, ecco! mi sono dato un pizzicotto e ho sentito male, ho toccato e sono un sogno…eppure, perdonatemi…lo vede anche lei, un cazzo così grosso non l’avevo mai visto...è solo aria, non c’è, anche la statua, non esiste, è aria... perdonatemi...un altro sogno? Chi lo sta sognando se qui dentro tutto è sogno?”

“Il sogno non è  realtà, se non è sogno è...cos'è?”

Lo Sguardo ha visto una cosa illuminata dal riflettore in mezzo alle palle dell’uccello, un occhio, palpabile, reale. Lo prende in mano e dice: “Interessante.”

Lo Sguardo e Esopo tornano nel padiglione. Il riflettore illumina e la storia continua.”

 

“La statua è finita, una gioia per gli occhi. In lei sono trascorsi giorni mesi anni, una vita dopo l’altra, lo stesso oggi ripetuto uguale, monotono, sempre lo stesso.

Avevamo finito l’inchiostro, la solitudine era così opprimente che volevamo ucciderci, farla finita per sempre! Sempre, una parola, quale morte? Lucidamente prendemmo la lama per affondarla nel cuore, l’avevamo puntata al petto, abbiamo spinto ma non l’abbiamo fatto. La lama è penetrata nella carne e si è fermata alla vista del sangue, il nostro sangue. Eravamo disperati, pazzi, il dolore ci ha aperto gli occhi, dormivamo, eravamo morti, che stavamo facendo? Abbiamo leccato il sangue sulla lama, caldo, buono, vivo, in quel momento l’idea! Abbiamo preso il papiro, intinto la lama nella ferita e con il sangue scritto, un’emorragia di parole  direttamente dal cuore accesa dalla passione che ci divorava.

Quel che credevamo non esiste più, quel che è è ora, sciogliersi nelle parole, fiume di sangue verso l’oceano per ritrovare la nuvola che ci riporti alla vita.

Il prete ci ha murati vivi, le poche notizie del mondo di fuori ce le riferisce il servo quando  porta il cibo, notizie confuse, contraddittorie, giorno dopo giorno abbiamo visto la paura trasformarlo  in una maschera di bestia, le parole grugniti ansanti da maiale sgozzato, racconta di allagamenti, epidemie, di un mostro spaventoso che si aggira nel territorio  divorando chiunque incontri.

Di Ixo nessuna parola, come se fosse scomparsa nel nulla.

Per calmare la noia abbiamo dipinto le pareti usando il carbone avanzato nella stufa, disegni, progetti, desideri irrealizzati, scene di vita in bianco e nero ombreggiate di sangue immaginando il fuoco mai bruciato. Lo scenario che appare è grottesco, un viaggio nell’impotenza, le abbiamo dato mille facce, mille corpi in altrettante situazioni e nulla ci soddisfaceva, volevamo di più, quel che non era diventava ed il muro viveva, gli parlavamo e ci rispondeva da ogni bocca e mai come avremmo voluto.

Veglia o sonno la scena non cambia, la statua è viva, si muove, le pareti si aprono ed i disegni si animano e con loro siamo e non siamo, la nostra carne è la loro, le nostre parole la loro voce, crescono, gonfiano, fantasmi, spettri, paure generate dal nulla, create dalla solitudine che vivono della  fantasia e si nutrono del nostro talento, cannibali, ci odiano,“io sono!” gridano dimenticando l’origine.

E’ tornato l’indovino, abbiamo parlato, almeno ci pare, l’abbiamo visto entrare dalla porta e subito uscire dal muro, c’era e non c’era.

Il dolore acuisce i sensi, la lama scava profondo nel tempo e rovista per trovare altro sangue da intingere, ogni parola trascina una parte di noi.

Avevamo disegnato un seno e premevamo le labbra al capezzolo succhiandone il latte quando, con in bocca il gusto del muro e del carbone, ce lo vedemmo davanti, vestiva una tonaca nera che lo ricopriva completamente, del suo volto si vedeva solo l’occhio, unica realtà e lo teneva fisso al centro della fronte.

“Cosa vuoi ancora, perchè non sei in prigione?” gli domandammo.

Una voce che sembrava l’eco della nostra, cavernosa, che rimbombava all’interno della mente rispose: “Il prete ha ancora bisogno di me, mi ha liberato.”

"Avevi promesso di tirarci fuori da qui!" esclamammo con foga.

“Promesso? Non ricordo.”

“Abbiamo fatto un patto!”

“Sono venuto apposta per definire i dettagli e continuare il lavoro. Non parliamo di promesse, se vuoi uscire sei libero, fuori di qui c’è solo  morte e noi vogliamo l’eterno.”

Il passato  era chiuso e vedevamo solo i  muri che circondavano il  mondo.

 “L’eterno cos’è? Non ci crediamo più, una tortura da aggiungere alla pena, tu vuoi ingannarci, fai paura, quell’occhio maledetto, tu sei il prete, quale indovino? Ci hai commissionato la statua, è finita, pagaci e lasciaci andare!”

“Non sono il prete!” esclamò avvampando dall’occhio. La somiglianza è solo apparenza riflessa dall’immagine, abbiamo lavorato per molti anni insieme e le nostre forme si  sono specchiate ma chi specchia l’altro? Il prete comanda, ha il potere di decidere la vita e la morte ma chi gli dà questo potere?

Tu sei giovane, focoso, vorresti esplodere, spaccare tutto, nulla sai della politica e dell’arte di condurre la storia, la pazienza di attendere che gli eventi maturino  sull’ albero della vita. Scendi dal piedistallo della tua arte, parliamo."

Non eravamo nelle condizioni di scegliere, la solitudine, il dialogo interiore con l’impotenza di agire a nostro piacere ci avevano trasformati in un automa d'abitudini e sentivamo quell’occhio come un intralcio all’abitudine e nello stesso tempo avevamo l’intuizione di qualcosa di già vissuto e  l’occhio era una parte di noi che in realtà non esisteva, era proiettato all’esterno dal nostro corpo. Un miraggio!

Ci sedemmo uno di fronte all’altro, uno parlava e l'altro ascoltava, chi  parlava e chi ascoltava erano la stessa cosa, le parole non avevano suono, apparivano  significati  e scorrevano  acqua, tutto intorno il nulla, c’eravamo solo noi, il nostro corpo e quell’ occhio e ci specchiavamo.

Le parole si imprimevano nelle figure dipinte alle pareti e le immagini si muovevano  e cambiavano, si trasformavano, abiti e fisionomie in fuga parte contro parte, apparenze che si dissolvevano in nuove apparenze ed ognuna trasmetteva un significato la cui unica realtà era l'interpretazione degli attori che si muovevano all’interno.

Vedevamo il nostro corpo scorrere vita dopo vita su una strada senza fine, un lungo rettilineo con una luce che si trasmetteva e lo scopo era sopravvivere a qualsiasi costo, senza pietà, senza speranza, vivere, vivere!

 Le ultime parole che disse furono:
K al processo.
(Emilio Baiocco)

“TUTTO QUEL CHE VEDIAMO, SENTIAMO, TOCCHIAMO È NULLA. SOLO SE SAPREMO VEDERE IL BENE NEL MALE E NON CAPIRE LE NOSTRE AZIONI POTREMO FARCELA.”

La lama ha raggiunto il cuore, l’inchiostro è diventato prezioso, scrivere o vivere?

La statua ci appariva vecchia, rugosa, nauseante, un coagulo di vermi e putrefazione da divorare,  l’abbiamo fatta a pezzi, i frammenti sono sparsi ovunque ma lei continua a esserci, noi l’abbiamo fatta, noi siamo”

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