Capitolo 3 - La cripta di Iside.







   


      3    In fondo all’imbuto.
            

                                
                              La cripta di Iside.

A prima vista si tratta di pazzia, la diagnosi è incerta, quel che sembra è  apparenza, non essere, copertura e comunque un riflesso. Lavorando con la pazzia la logica è: “Paese che vai usanze che trovi“. L’incerto sembra una cosa e l’attimo dopo può sembrarne un’altra, l’idea è comunque un seme, un embrione e cresce. Il seme non è la pianta come il segno non è il codice.

La cripta di Iside, un ampio salone scavato nella terra, buio, nero, materiale onirico, uniche luci tremolanti candele sparse sui tavoli, fuochi fatui, dentro ci sono solo morti o  apparenze di morti.

Il salone è ovale, uovo seme... lungo le pareti nove padiglioni disposti come le ore su un orologio dalle due alle dieci,  sull’una il sarcofago col corpo del vecchio,  sulle undici quello della vittima,  a mezzogiorno o mezzanotte in punto la statua di Iside. Nei padiglioni statue di cera, almeno all’apparenza, uomini e donne vestiti come gli antichi egizi tra pareti di carta ricoperti di geroglifici,  scene di vita: la bottega di un fornaio che impasta il pane, una zecca che batte moneta, una sala da pranzo con una famigliola seduta a tavola, le teste  rivolte verso una sfera posta su una parete nel cui interno vive l’immagine di un prete benedicente.

Le altre nell’ombra per il momento, lo spettacolo sta per iniziare, il montacarichi  cala posando in scena lo Sguardo ed Esopo.  Riflettore puntato.

Lo Sguardo, fregandosi la pancia con una mano, dice: “Quei cavoli mi son rimasti sullo stomaco, facevano proprio schifo.”

“Perdonatemi…“ risponde Esopo pronto, “adesso penserà che... quello che posso, meglio di cosi...a me piacevano...di questi tempi…”

Camminando tra statue di dei con la testa di bestie e tavoli ingombri di mummie e cimeli vari arrivano alla statua di Iside.

Silenzio... il flebile rodere di tarli,  da qualche parte lontano lo squittio di un topo indispettito che fugge poi la voce di Esopo: “Passare la notte qui… perdonatemi...solo un pazzo...i padroni han detto tutto quello che vuole…  perdonatemi...tutti questi morti..."

“Il vecchio e la vittima lo facevano...a proposito, dove dormivano?”

“Perdonatemi, queste cose...fan venire...il vecchio aveva allestito un padiglione, lei la maggior parte del tempo lo passava lì ma dormiva nel sarcofago dov’è morta...come faceva?...la imploravo…lei,  era tornata,  sembrava un’altra, io dicevo perdonatemi…lei mi disprezzava, aveva la sua stanza nel castello, non c’è stato verso...così ha voluto...era cocciuta, testarda, impossibile...ed io...”

Mentre Esopo parla lo Sguardo solleva il lenzuolo che copre la morta.

 “Venga a vedere!” dice.

La testa, le braccia e le gambe sono state completamente spolpate, le ossa biancheggiano sotto la luce del riflettore.

“Perdonatemi!” esclama Esopo angosciato, “chi può essere stato, adesso penserà che...”

Lo Sguardo osserva il troncone di corpo rimasto intatto con il paletto piantato nel cuore che sporge tra i seni.

“L’ avevo detto...chiudiamo e lei...perdonatemi...questa storia…”

"Precauzione inutile... una  indagine veramente interessante,  fin’ ora ho sentito solo menzogne,  mentono tutti,  compreso lei.”

“Perdonatemi...è quello che so...qui una volta è così un’altra è cosà...ho detto quello che sapevo, la colpa è sempre mia, ecco!”

“Non ha importanza, la forma della menzogna è la verità, la verità appare come menzogna. E’ questione di scavare.”

“Scavare...perdonatemi...anche il vecchio diceva così...scavare...quando parlava della Sfinge... io...qui mi disprezzano tutti ma...se solo..."

Il corpo mummificato del vecchio è intatto, il teschio un ghigno sprezzante,  i muscoli, i tendini e le ossa luccicano sotto il riflettore.

“Questo non può essere morto da un mese!” esclama lo Sguardo.

“Perdonatemi...a me sembra poi...qui non si sa mai com’è...un mese fa era vivo...poi è morto...adesso penserà che…”

La statua di Iside, nel suo candore marmoreo,  troneggia sulla scena allungando la sua ombra tra i sarcofaghi.

Lo Sguardo dice: “Un grave errore quello di pensare, l’evidenza si guarda, parla da sè... si sente con gli occhi.”

“Perdonatemi… allora…si vede che lei è intelligente, che ha studiato...io invece…a me qui... tutti mi disprezzano...io,  anche il vecchio parlava così, diceva: la musica non suona, vola nell’ aria...si guarda…ed io…perdonatemi...guardavo ma non vedevo niente.”

“La smetta con questi perdonatemi...non ho nulla da perdonarle.”

“Perdonatemi...cosa ne so?...qui...io ci provo, vorrei...è sempre colpa mia,  perdonatemi... che altro potrei dire?"

“La morta dormiva in questo sarcofago?”

“Si.”

“Un bel coraggio.”

“Perdonatemi… io lo dicevo ma lei...doveva vederla...l’orgoglio.”

“Fuori luogo... si vede,  un vicolo senza uscita, l'esperienza,  statisticamente un caso banale ma il comportamento può essere quel che non è: questa mutilazione.”

“Che cosa vede?”

“Che hanno asportato la carne della testa, delle gambe, delle braccia e lasciato le ossa.”

“Perdonatemi... e allora?”

“Allora cosa? Dov’è il padiglione del vecchio?”

“Venga, l’ accompagno.”

Sulle ore dieci, a fianco del sarcofago con la morta. Geroglifici alle pareti, tetto a cupola, pavimento di legno, un divano con una coperta buttata sopra, un tavolo e due sedie, una credenza con libreria, una bottiglia di whisky semivuota, qualche bicchiere. lo Sguardo ne riempie uno, lo sorseggia e dice:

“Buono, d’annata. E’ qui che la morta ha passato gli ultimi giorni?”

“Si...per...io lo dicevo ma lei...cocciuta! pazzal”

Lo Sguardo si siede al tavolo, apre un cassetto, ci rovista dentro e trova una lettera scritta a mano. La legge:

“Caro P

Esopo ha detto che sei al castello e che hai chiesto di vedermi,  morirei piuttosto, carogna! tutti questi anni,  ti odio,  ho visto I’idiota, mi ha raccontato tutto,  bastardo! Lo sapevo che sarebbe finita così! Adesso ti scrivo ma non so chi scrive, è l'odio? è il disprezzo? Che cos’è non lo so, sono morta, una morta che pensa e penso, la mia vita è pensare, la realtà, quando mi hai abbandonata io non so più che ho fatto, che ho fatto? ho bevuto per trovare il coraggio, tu non sai,  un incubo, credevo dl essere una figa,  la mia faccia e dietro il culo,  sprofondata in un mare di piscio, c'erano cazzi che nuotavano, dei bei pesci,  io allungavo il clitoride  e quelli abboccavano, aprivo la figa e me Ii mangiavo così com’erano, tu non sai il piacere,  ti sputerei in faccia, non ti voglio vedere mai più! Lo so, se ti vedessi per me,  tutto quello che ho vissuto esploderebbe,  crederai che sia pazza ebbene sì! pazza! furiosa! brucio! scrivo ma non sperare che ti spedisca la lettera,  piuttosto il primo cane che piscia per strada glielo lecco!  Esopo mi ha raccontato dei tuoi vagabondaggi, delle tue avventure, c’era idiota e rideva,  come hai potuto? Io ti odio! Tutti questi anni rinchiusa in un porcile a grugnire dietro ai maiali, l'ho fatto per te, ho imparato,  tu mi hai insegnato, così è la vita. Sono tornata ma non l’ho fatto per te. Qui le cose sono cambiate ma ho ritrovato me stessa, quella che sono…”                                                        

La lettera si interrompe. Lo Sguardo l’ha letta a voce alta.

Esopo commenta: "Perdonatemi... io glielo dicevo... scriveva in continuazione e poi bruciava le lettere...io...lei mi disprezzava, ero niente...perdonatemi, e lei…”

“Che cosa le diceva?”

"Perdonatemi...solo così...lei… mi disprezzava, io, sempre colpa mia, ecco!”

“Se le altre lettere le ha bruciate questa è stata l’ultima,  deve aver sentito l’assassino, chi l’ha messa nel cassetto?"

“Adesso penserà che...perdonatemi,  che cosa ne so?”

“Qui scrive che ha visto I’idiota,  lei mi ha detto…”

“Ecco! Perdonatemi...lo sapevo...prima era così e adesso...che cosa ne so?  qui le cose sembrano e poi non si sa mai com’è...così era e adesso è cosà, che cosa le avevo detto?”

Lo Sguardo sorseggia un goccio di whisky e risponde, come chi non si stupisce più di nulla: “Che importa? To hear with eyes, ha letto Shakespeare, le parole non si ascoltano, si guardano.”

Ripone la lettera nel cassetto e si alza per rovistare nella stanza. In un angolo nascosto dall’ombra c’è un leggio con un libro sopra. Il libro è chiuso. Sulla copertina il titolo: 
 

                     La scoperta.  


 

Lo Sguardo prende il leggio con il libro e lo posa sul tavolo.

“Questo era del vecchio?” chiede.

Esopo è soprappensiero: “Cosa? Perdonatemi...era così beIla…quelle ossa... cambiare così... chi può essere stato... io di certo no... son sempre stato con lei...o penserà?...”

Lo Sguardo, affabile: “Che importanza ha?”

“Perdonatemi... ci deve essere un motivo...lei fa le indagini, come lo spiega?"

“L’indizio è irrilevante,  sembra fatto apposta per confondere,  inutile perderci la testa,  forse è proprio quello che vuole l’assassino. Noi abbiamo un metodo, ci lasci fare,  risponda alla domanda,  questo libro?”

"Sì... perdonatemi... era del vecchio...lo amava sopra ogni cosa...lo cullava, lo vezzeggiava...lo leggeva in continuazione,  ogni tanto aggiungeva un pezzo... cambiava delle parole,  ci parlava...”

“Non ne avrà a male se lo leggiamo anche noi.”

Nel buio della cripta, in direzione della statua di Iside, una risatina sprezzante seguita da un sospiro angosciato, quasi impercettibile.”

“Cos’è stato?" domanda lo Sguardo guardando verso il buio.

“Perdonatemi... non fate caso ai rumori...qui è un altro mondo..."

Il riflettore sposta il fascio di luce verso la statua coi sarcofagi, fa un giro per la sala, scorre sui padiglioni ed i loro contenuti di cera, tra le orecchie aguzze delle divinità, sulle mummie, sulla polvere...tutto immobile.

Esopo si soffia il naso in un fazzoletto sudicio, lo ripiega con cura e lo rimette in tasca. Dice: “Perdonatemi... il silenzio dei morti...è un silenzio, un silenzio… doveva essere pazza per vivere qui.”

Lo Sguardo sorride: "Esopo, questo è un fatto!"

“Perdonatemi …allora che ci facciamo noi?”

"Aspettiamo, abbiamo tutta la notte e questo libro.”

Un grosso volume con la copertina di cuoio nero col titolo: “La Scoperta” scritto   a caratteri gotici in oro. Lo Sguardo lo apre alla prima pagina e legge a voce alta:

“Oggi è l’inizio. Il libro vale tutti i tesori del mondo, tutte le fatiche, le pene, i sacrifici della ricerca sono in vista del traguardo. Questa mattina Alì, il nostro cameriere quindicenne, è arrivato di corsa, trafelato,  urlando di un mercante che aveva importanti reperti da vendere e che non c’era un attimo da perdere.

La sua foga ci ha contagiati e siamo subito scesi in strada.

In questi giorni il Cairo è nel caos, i francesi se ne sono andati da una settimana, per strada girano squadre di soldati inglesi,  ronde turche,  bande di disperati riunite dalla carestia portata dalla guerra. Ovunque bambini affamati con la mano tesa, si camminava con la sensazione di un coltello sempre puntato alla schiena.

Alì conosce tutte le scorciatoie, i vicoli nascosti, le entrate a doppia uscita e siamo arrivati senza danni.

Il mercante odia gli stranieri ma come tutti i mercanti capisce solo i soldi ed in quello ci intendiamo alla perfezione.

All’ingresso i soliti salamelecchi,  abbiamo bevuto il te ed è arrivato al dunque: bisbigliando sottovoce ha detto di essere in contatto con un tenente inglese disertore che era presente alla razzia del laboratorio di Champolloin. Per una buona mezzora ci siamo sorbiti una litania sprezzante contro i ladri francesi, i predoni inglesi e gli sciacalli turchi poi ci ha portato in una stanza appartata e ci ha mostrato il materiale. “Trentamila sterline!” ha detto prima che lo esaminassimo.”

“Li vale?" abbiamo  chiesto.

“Forse il British offrirebbe di più." ha risposto.

“O forse la farebbe impiccare insieme al disertore.”

“Inshallah!” ha esclamato il mercante guardando in alto.

I reperti erano stipati in uno scatolone, il mercante li ha tirati fuori uno ad uno ponendoli su un tavolo.

Rotoli di papiri zeppi di geroglifici, disegni, mappe, utensili, idoli e vasellame d'oro ed altri materiali pregiati ed un libro che tirò fuori per ultimo guardandoci con aria complice. Un grosso fascio di carte di papiro rilegate in una spessa copertina di cuoio nero con il titolo scritto a caratteri dorati in greco antico: “la Scoperta.“

Il libro era, non era,  è! perchè adesso è nostro ed abbiamo pagato il suo prezzo disdegnando il resto,  quale pazzia? trentamila sterline, abbiamo dato fondo al patrimonio ma è proprio la pazzia a muovere le grandi  imprese negate ai comuni mortali.

Il libro è fatiscente, tarlato, pieno di macchie, molte pagine sono incollate, fuse tra loro, solo a toccarle vanno in polvere. Sulla prima pagina una nota di introduzione sulla vita dell’ autore: parla di uno storico greco arrivato in Egitto al seguito di Alessandro Magno e poi rimasto con Tolomeo che afferma di aver trovato un libro scritto da un poeta e scultore egizio vissuto ai tempi dell'esodo di Mosè e di averlo tradotto in greco. La nota termina con un aforisma in versi:

                                        

                                           Quel che cerchi oggi

                                           È sempre stato oggi  

                                           In qualsiasi giorno.

 

Fu l’aforisma a deciderci, la ricerca,  il sogno dell’ubiquità dell’ Essere intrappolato dalla carne nel tempo rinchiuso in quelle tre righe.”

 

Lo Sguardo solleva gli occhi dal libro e rimane un attimo ad osservare il silenzio nel buio della cripta.

“Interessante.” dice.

“Perdonatemi…lei crede?…quando c’era il vecchio nessuno poteva avvicinarsi a quel libro...poi, non so…chi ci capisce?...perdonatemi, follia, darsi tanta pena per della carta,  qui tutti mi disprezzano ma se non ci fossi, perdonatemi...non so quel che dico...cos’è l’ubichità?”

"L’ubiquità è la facoltà di essere contemporaneamente in posti diversi nello spazio, qui parla di tempo, il tempo non è lo spazio, la forma del tempo è lo spazio, ecco perchè il vecchio si decise all’acquisto. C’è solo una cosa che non capiamo: il ritiro dei francesi dall’Egitto avvenne nell’estate dell’ottocento, da allora son passati più di due secoli, come poteva il vecchio essere presente?”

“Perdonatemi, è quello che ho sempre detto... era proprio vecchio, vecchissimo, doveva vederlo,  l'ha visto nella bara,  vecchissimo... "

“L'abbiamo visto ma quel che si vede è solo apparenza e qui mentono tutti, abbiamo la notte davanti, leggiamo.”

 

“La vecchiaia è una condanna inesorabile, la china dell’arco della vita.

Ci siamo trasferiti a Giza in una villetta di fronte al deserto. Biblioteca e studio in cantina, un’unica stanza a piano terra fa da cucina e salotto, Alì si è sistemato nel sottotetto, il gabinetto in un capanno all’esterno. L’abbiamo fatto per stare vicino a lei, la Sfinge,  lo scopo della nostra vita. Tempo agli sgoccioli, il futuro in pasto ai vermi, marcire in una tomba, cosi breve è la vita. La Sfinge è la sfida, immagine salda da miliaia di anni, l’ eternità, il sogno.

E’ notte, l'aria fresca. Poco fa eravamo in veranda all’aperto, nel cielo splendeva la luna, tutto il deserto ne era illuminato,  ogni granello di sabbia luccicava, la vista spaziava sulle dune verso l’orizzonte in un mare d’onde sinuose, il tempo le muoveva. Nello spazio la poesia era ovunque, poesia che lottava contro l’acidità di stomaco lasciataci dai cavoli cucinati da Alì, con le frotte di insetti ronzanti, con l’odore del pozzo nero vicino.

La Sfinge proiettava la sua ombra dall’eternità, da anni cerchiamo l’ingresso,  l’enigma, il codice del tempo, la chiave per aprirlo. L’incertezza la circonda, interpretazioni arbitrarie per spiegare l’impossibile, la costruzione non è umana,  come han potuto sollevare simili pesi?  Neppure oggi lo si potrebbe fare… chi insegnò agli uomini a  parlare?

Sono sceso in cantina a scrivere, le parole escono a fatica, stentano come trattenute da una forza estranea che lotta dentro di noi per impedirci di essere, essere cosa? La pazzia ci divora, una guerra della carne contro la carta, faremo in tempo?

Abbiamo sistemato il libro su un leggio protetto da una cupola di vetro, è talmente fragile che solo a guardarlo sembra andare in polvere e noi con lui, abbiamo iniziato la traduzione,  siamo pratici di greco antico e nonostante il cattivo stato del papiro il lavoro procede veloce, sopperiamo alle parti mancanti con la fantasia, le probabilità, quei tempi, ventiquattro secoli fa, immagini di un giorno come oggi:

 

“Alessandro, il magnifico, è tornato agli dei. La notizia della sua morte è giunta a Menfi come un fulmine dell’ira di Zeus, sul mondo è calata la notte. In città cova la rivolta, le ferite lasciate dal ritiro dei persiani non si sono ancora rimarginate, la carestia dilaga,  nonostante la costruzione di Alessandria abbia richiamato miliaia di poveri le strade sono battute da pattuglie di soldati armati e bande di disperati, gli scontri sono frequenti, si cammina tra gente sbudellata che marcisce nel fango e torme di bambini denutriti con le mani tese.

La morte del nostro illustre e magnanimo protettore ha oscurato il progresso del nostro lavoro. Lui volle che rimanessimo per fare ricerche sulla storia della Sfinge  la  cui origine è a tutti ignota.

Gli dei ci sono testimoni, non abbiamo perso tempo e sguinzagliato uomini in ogni città egizia col compito di reperire qualsiasi documento o notizia che la riguardasse ma è stata la fortuna,  come sempre cieca ai destini umani, a metterci in mano la chiave del mistero.

Per il nostro lavoro ci è stata assegnata una villa occupata in precedenza da un nobile persiano fuggito o forse ucciso dalla ribellione scoppiata prima dell’arrivo di Alessandro. Negli scantinati erano stati imballati in tutta fretta tonnellate di materiali sottratti alle viscere delle piramidi, un tesoro incalcolabile che una porta di ferro e pesanti chiavistelli hanno protetto dal saccheggio.

Il miracolo una settimana fa ma solo oggi abbiamo potuto comprendere il suo valore.

Procedendo ai lavori di catalogazione trovammo un voluminoso fascio di papiri rosi dal tempo rilegati in una guaina di pelle nera con un geroglifico che un aiutante del posto ha subito tradotto: “La scoperta.”

Ho fatto chiamare il migliore calligrafo egizio, è arrivato questa mattina. Fortunatamente conosce il greco ed abbiamo subito proceduto alla traduzione. Il papiro è fragile, solo a toccarlo va in polvere, molte pagine sono incollate tra loro, i tarli hanno scavato lunghe gallerie, il velo del tempo ha fatto il resto.

Il calligrafo si è appassionato e condivide il nostro entusiasmo, è pratico di testi antichi e sa come maneggiarli.

Il libro è scritto in versi, nella prima pagina una nota sulla vita dell’autore, uno scultore egizio di nome Omer vissuto ai tempi del faraone Amoesse duemila anni fa. Omer si definisce figlio del Nilo e dedica la sua opera ad Ixo, una cortigiana.

 

                                                Adorata visione

                                                gabbia di raggi di luna

                                                prigioniero di te

                                                questa opera

                                                all’ Eterno dono.

 

 

L’eterno... quando il calligrafo tradusse i versi per le strade si gridava la morte di Alessandro. Abbiamo temporaneamente sospeso in segno di lutto e riprenderemo domani se gli dei lo permetteranno.

 

Le pagine che seguono sono incollate. Abbiamo inumidito i papiri e nell’attesa che la carta si ammorbidisse siamo tornati all’aperto. Mentre Alì preparava il te guardavamo le onde raggianti del deserto frangersi contro la nostra mente. "

 

"Perdonatemi…” dice Esopo con l’aria di chi non capisce un acca,  tutti i libri si chiamano nello stesso modo,  qui mi disprezzano tutti ma...se non ci fossi io…”

Lo Sguardo solleva gli occhi  e risponde: “Una storia interessante.”

“E’ vero...perdonatemi...il vecchio lo diceva sempre...una cosa così...come dire?... perdonatemi... Iui,  sempre chiuso in questo buco, ed anche lei poi... io lo dicevo...provate a uscire... tutti mi disprezzano ed io,  se potessi ma come si fa…perdonatemi...che altro?”

“Si calmi, di che cosa ha paura?”

“Non so...perdonatemi...adesso penserà che...questo posto...non so...è,  è...non so, questo posto..”

“Sono morti...nulla!”

“Lei dice…perdonatemi...forse sono morti...intanto lei è morta, l’ha vista...è morta?...perdonatemi, qui una volta è così una volta è cosà, come si fa?...tutte quelle statue, quelle figure…il vecchio diceva che quando voleva...io non so...lui...rideva, rideva...diceva: ho un padiglione pieno di puttane e me la danno tutte le volte che voglio...era pazzo, vecchio, vecchissimo…perdonatemi,  si può capire...e lei una settimana qui da sola, dormiva nel sarcofago... sembrava che sapesse,  che aspettasse...”

Esopo si interrompe ed inizia a piangere, lo Sguardo lo lascia sfogare e chiede: “Che cosa aspettava?”

“Perdonatemi...non so...aspettava...aspettava e basta...nulla aveva importanza,  aspettava... io glielo dicevo,  perdonatemi...ma lei mi disprezzava,  non mi guardava neppure ed io...ecco!...io, perdonatemi… che potevo fare ridotto così…”

Il riflettore illumina il libro, un riflesso colpisce la statua di Iside silenziosa nella sua marmorea purezza. L’oscurità avvolge la cripta, il rodere incessante dei tarli monotono come un canto di grilli nascosti nell'erba. Sogni, solo sogni, ricordi di un passato che rivive stampato nel ricordo. Fantasmi...i morti si muovono richiamati al giorno, le statue si animano, i  padiglioni fervono d'attività ma non si vede niente, il buio copre ed il silenzio è l’unica voce.

 

 

“Oggi, dopo giorni di attesa, Tolomeo ha accolto la nostra richiesta e ci ha concessa un’ udienza.

Dopo la morte di Alessandro la nostra posizione è diventata precaria, noi lavoravamo per lui, adesso lui banchetta con gli dei, noi miseri mortali destinati alle ombre degli inferi dobbiamo continuare a vivere. Ci siamo fatti precedere da tutto l’oro ed i preziosi trovati nelle cantine, Tolomeo era cortese, affabile, e con nostra sorpresa era perfettamente al corrente del nostro libro,  ha voluto sapere come procedeva la traduzione e se c’erano novità.

Gli abbiamo detto tutto senza omettere nulla, vivere alla corte di Alessandro ci ha insegnato la prudenza con i potenti, gelosia ed invidia sono sempre in agguato e sapevo che i nuovi padroni non amano i servi dei vecchi per timore del confronto.

Per la clava dell’Alcide! Tolomeo ci ha confermato l’incarico e la villa aumentandoci il compenso di mille sicli l’anno, ci siamo chinati a baciargli l’anello con la promessa che I’avremmo tenuto informato sui progressi. Tornati in strada danzavamo di gioia.

Ora a Menfi come in tutto l’Egitto regna la pace. Tolomeo da abile politico si è accordato coi preti lasciandogli intatti i privilegi ed in molti casi aumentandoli. Politica si chiama. Circola la voce che questi accordi esistessero già prima della morte del divino Alessandro ma sono solo voci ed ora che abbiamo cambiato padrone preferiamo ascoltarne altre.

I tumulti sono stati domati, tutta la piana che circonda Menfi e ricoperta  da croci con appesi o impalati  uomini e donne per il banchetto degli avvoltoi, l’aria è acre per i miasmi della decomposizione ma il popolo ha ripreso le normali attività con uno zelo ammirabile. Tornati a casa non abbiamo perso tempo e ci siamo chiusi nello studio dove il calligrafo ci attendeva. Sospetto che faccia la spia per Tolomeo ma non ci importa, per la clava di Ercole, conosce il lavoro e noi sappiamo usare le spie. "

 

Le pagine messe ad ammorbidire si sono staccate a pezzi,  i frammenti sono stati ricomposti ed abbiamo proceduto alla traduzione.

 

“I caratteri usati sono una forma arcaica dell’alfabeto egizio, gli ideogrammi sono appena accennati, in certi casi simili a rune, pennellate la cui interpretazione è la risposta ad un indovinello. I segni copiati dal calligrafo sono esposti a lato.

Inizia con un resoconto di cui tracciamo una breve sintesi.

 

                        Il patto e la firma. 


 

Noi, Omer, figlio del Nilo, scriviamo:

“L’Egitto è il caos, il grano marcisce sui campi, i vivi tremano, i morti camminano urlando l’ira degli dei,  il sole è spento, le nubi gonfie di veleno  flagellano giorno e notte la terra, la fine del mondo,  quel che era non sarà più, quel che siamo è oggi, l’aria che respiriamo, il poco cibo che la fortuna pone in tavola.

Tebe è allagata, le porte sono chiuse, vietato entrare o uscire, la pestilenza miete l’unico grano raccolto, vittime ovunque, sulla strada ogni momento è l’ultimo, fame nei disperati che vagano ciechi, fame negli armati che scorazzano a depredare vivi e morti, fame negli occhi dei bambini con la mano tesa.

I collegamenti col mondo sono interrotti, le poche notizie camminano sulla bocca dei servi del prete che servo, voci, smentite, di questi tempi nulla è certo.

Dicono che il faraone Amoesse sia fuggito o morto,  la pioggia incessante ha fermato la guerra, dicono che i superstiti della sua folle dottrina siano nascosti sulle rive del mar Rosso braccati dalle bande ribelli che i preti hanno armato.

Schiavi, bestie,  adoratori di Athom l’unico dio,  vivevano dentro buchi nella terra come morti sepolti,  Amoesse li ha aggiogati alla sua causa in un disperato tentativo di fronteggiare la rivolta, vana speranza,  i suoi seguaci sono stati sterminati, le loro ricchezze confiscate,  solo gli schiavi che non avevano niente sono fuggiti.

 La nostra vita imprigionata nella fiamma di una candela agli sgoccioli lotta contro i venti della passione,  Ixo,  amante impossibile,  null’altro conta per noi, solo lei, unica dea.

Fortuna, caso,  destino,  chi può conoscere l’insondabile trama della vita?

Lavoriamo per un ricco prete, unico compenso il cibo ed il disprezzo dei servi che odiano gli artisti. Un mese è passato dalla cacciata dell’orda di schiavi che aveva occupato Tebe,  il prete per commemorare l’avvenimento ci ha commissionato una statua di Iside e ci ha dato una concubina, la sua favorita come modello.

Ixo, bella,  giovane, perfetta, ideale aspirato, fuoco, passione, abbiamo perso la testa per lei,  giorno dopo giorno il suo profumo, i suoi occhi, la sua voce, il calore, l’inferno. Invisibili catene ci avvolgono a lei.

L’impeto irragionevole della bestia, istinto contro paura, conosciamo la  condanna che tocca chi osa anche solo sfiorare  la favorita di un prete.

Ixo! nome amato, odiato, amato e odiato e amato e ancora odiato e amato, due eunuchi armati sorvegliano il lavoro, scolpiamo il freddo marmo plasmando la sua forma, carezze e baci, lo scalpello arroventato d’amore impossibile.

Ixo, lo Sguardo gli occhi le labbra parlano nel silenzio degli indugi,  ammiccano, sembra una bambina capricciosa, incantata, nulla vive intorno a lei, solo lei è.

Su una strada di sangue il nostro cuore si sta riversando nella statua.

Una notte senza ore nel silenzio della prigione in attesa di riprendere il lavoro.

 

A quel punto le pagine erano incollate, le abbiamo inumidite e nell’attesa siamo saliti per pranzo. Alì ha servito una pietanza di spezzatino di montone duro come suole di stivali coi soliti cavoli,  per digerire abbiamo fatto una passeggiata a cammello fino ai piedi della Sfinge, l’aria rovente, il deserto abbagliante sotto il sole, l’orizzonte soffuso di vapori morganici,  interminabili carovane d’illusioni in marcia verso il nulla.

 

Lo Sguardo solleva gli occhi e smette di leggere distratto da un rumore nella cripta, un colpo secco come un ramo spezzato sul sarcofago della vittima.

Il riflettore di scena fa un rapido giro tra i padiglioni ed i tavoli,  segue la coda di un topo scomparire fulminea in un buco del muro poi si punta sul sarcofago.

“Perdonatemi..." dice Esopo con un filo di voce falsettato dalla paura, "Qui,  questi rumori,  non si sa mai che può capitare,  perdonatemi,  cosa dice?”

Lo Sguardo si alza: “Andiamo a vedere.”

Sotto la statua di Iside il lenzuolo che copriva il cadavere è scomparso, il paletto  nel petto è stato tolto per essere affondato nella vagina stretto dalle mani scheletriche della morta.

Il teschio è deformato da un ghigno di piacere, impercettibile come lo sguardo marmoreo di Iside che osserva compiaciuta.

La voce tentennante di Esopo rompe il silenzio: “Perdonatemi...adesso penserà...lo ha visto anche lei, sono sempre stato seduto,  ascoltavo la storia,  perdonatemi,  ecco!… adesso… "

“Si calmi, di che ha paura? Questo è un sogno, aria colorata, fumo,  null’altro.”

“Perdonatemi… non capisco, un sogno?...se l’è piantato nella...è osceno, è morta, chi può essere stato, lo ha visto anche lei, io..."

“Interessante!“ continua lo Sguardo, guardando Esopo divertito.

“Se lo dice lei...si vede che è così...perdonatemi...io comunque non ci capisco niente...qui, è vero...un sogno, ora che l’ha detto sembra proprio...queste cose...non so,  qui mi disprezzano tutti ma...è sempre così,  sempre colpa mia ed ora…lo ha visto, io...come faccio, sempre colpa mia, io vorrei se potessi ma come faccio?...Come lo spiega quel paletto? qualcuno deve essere stato per forza ed io...perdonatemi…eh?"

“Interessante.” ripete lo Sguardo,  fisso su Esopo.

“Cosa è?…interessante dice...non mi guardi così...sono timido, molto timido, adesso penserà...lo vedo,  glielo leggo negli occhi…sempre colpa mia, ecco!”

“Interessante, lei è interessante, la scoperta. Venga, torniamo al nostro libro.”

“Mi trova interessante?...perdonatemi...mi manca il fiato...io...lo so, se non ci fossi qui...mi disprezzano tutti ma..."

 

E’ notte, da settimane siamo rinchiusi, il  prete ci ha murati vivi con la statua,  una ossessione, una condanna, il cibo segna il tempo, carne all’alba e carne al tramonto, tanta abbondanza di carne è un mistero,  prima che il prete ci commissionasse il lavoro facevamo la fame, il cibo era introvabile,  abbiamo mangiato topi, vermi, lucertole, radici disgustose ed ora carne tutti i giorni, abbondante, fresca. I servi la portano e ridono, non oso credere al sospetto che ci rode e mangiamo, divoriamo divorati da una brama insaziabile.

Ixo, perfezione, apoteosi di grazia, strazio d’amore, fuoco vivo. Ascoltiamo tremando di pazzia i rumori che giungono dal palazzo, immaginarla tra le braccia del prete, odio, orrore, così vecchio, forse la guarda con quell’occhio sinistro spettrale, sempre fisso e lei nuda,  languida,  asseconda la perversione e forse ride di noi, gode del nostro strazio, cacciatore e preda, tigre il furore che anima i nostri sensi, cerva che fugge in un boccone di sangue, lei la tigre gioca col cervo e possiamo scornarci coi muri che c’imprigionano.

Le sentinelle hanno iniziato la ronda notturna, è passata la mezzanotte, tutti dormono, notte insonne per noi, occhi aperti vediamo lei, occhi chiusi ancora lei, unico sfogo lo stilo ed il papiro, scriviamo in segreto, se il prete sapesse, severamente proibito, l’unico sfogo, l’unico dialogo,  continueremo con il nostro sangue se non troveremo altro inchiostro.

La statua è quasi finita, l’abbiamo coperta per non guardarla, ultimo blocco di marmo arrivato dal mare prima che la guerra cancellasse la nostra terra dal mondo, un onore scolpirlo,  il prete ha detto che il minimo errore l’avremmo pagato con la vita, che importa? Cosa vale la nostra vita? Arte nelle mani sopra ogni ambizione, ingegno, talento, poesia ed essere l’ultimo dei servi,  disprezzato!

Ixo, come saprei modellare la tua carne col fuoco di baci e carezze, regina delle stelle in volo sulla bufera dei sensi.

Lottiamo per non prostrarci ai piedi della statua e siamo sempre proni, carne e marmo, fredda pietra da penetrare,  cosa sarà quando il lavoro sarà finito? Morire, che altro? tornare alla polvere e non pensare più.”

“Un mese un secolo un giorno che importa? Quel mattino la porta si è aperta ed è entrata lxo,  come vento si è gettata tigre sulla preda e ci ha stretti tra lacrime e baci,  i suoi denti laceravano la carne,  il suo corpo bruciava, ci siamo amati fuoco nel fuoco, tempesta di sensi.

Un sogno, sognavamo, come spiegare altrimenti quel che successe?

Ci svegliammo ai calci degli eunuchi, eravamo ricoperti di sangue, aprimmo gli occhi al dolore delle percosse su un mare di sangue, venimmo sollevati a forza e vedemmo Ixo a terra, morta, la testa staccata dal corpo, le braccia le gambe i seni ed il  ventre spolpati da morsi, le ossa sporgevano arrossate dal sangue che ancora ruscellava dal suo corpo.

Perdemmo i sensi e ci risvegliammo dentro una prigione di pietra buia, l’acqua trasudava dai muri e scarafaggi sguazzavano sul fango del pavimento insieme a topi ed altri essere immondi...chi  più immondo di noi?

Passammo giorni di delirio cibandoci di fango, non potevamo credere che fosse accaduto veramente, la nostra memoria era spenta, vedevamo solo il corpo di Ixo smembrato e tutto quel sangue.

Un mattino rinchiusero un vecchio nella cella,  eravamo lucidi e nella penombra lo distinguevamo appena,  era vestito con un lungo saio di pelle nera che lo ricopriva fino ai piedi e teneva la testa nascosta in un cappuccio. Un bagliore d’odio lampeggiava dal suo occhio sinistro, l’altro l’aveva spento.

Rimase a lungo a fissarci con quell'unico occhio e disse, con voce che sembrava provenire dall’oltretomba:' “Maledetti, che la fame li divori, non hanno pietà di un povero vecchio!   Guardami, non ti  faccio pena?”

Nello stato che eravamo, affamati, sporchi, febbricitanti, divorati dall’incertezza, soffocati dall’impotenza di sapere, allontanammo lo sguardo da quell’occhio inquietante. Il vecchio continuava a parlare, lamenti,  gemiti, maledizioni sui suoi spietati aguzzini e sulla sua decrepita vecchiaia,  infine disse: “Tu devi essere quel giovane pazzo artista.”

“Pazzo, sì pazzo!"'  rispondemmo,  “ci lasci in pace!”

Il vecchio esplose in una risata inumana, i singulti lo squassavano, sembrava di vederlo andare a pezzi. Tossì, sputò un grumo di sangue  e chiese: "Non ti interessa sapere?”

“E’ il prete che la manda? E’ una spia?”

“Come?...non vedi come sono ridotto? non ti faccio pena? sono solo un servo disprezzato,  il prete non vuole bocche inutili, per me è la fine.”

Non rispondemmo ed il vecchio  continuò: "Non ti fidi? Capisco, perchè dovresti? Forse speri ancora, alla mia età i giovani sono un libro aperto, i giovani sperano, illusi! Un soffio, la carne marcisce ed il futuro è finito, così breve è la vita. Stai tranquillo, in questi tempi da fine del mondo il prete ha altro a cui pensare, tu piuttosto,  io sono vecchio, molto vecchio,  tu invece, cosa sono le ricchezze, il potere? Invidia! Un soffio! Cosa c’è dopo, cosa ci aspetta? Nessuno lo sa,  speranze e nessuna certezza.”

Eravamo combattuti dall’ansia di sapere e la repulsione per il vecchio, chiedemmo: “Chi è, che cosa vuole?”

“Il mio nome non ha importanza, sono, ero un indovino, davo consigli al prete, frugavo nelle viscere delle sue vittime cercando il futuro, sapevo che per me era giunta l’ora. Tu sei un artista, anche gli indovini lo sono, a modo nostro, ci vuole arte per dare ad intendere quel che si vuole intendere. Anch’io avevo un lavoro iniziato ed ho dovuto interromperlo, tu cerchi la perfezione della forma, io cercavo l’assoluto, l’eterno,  parlavo con gli spiriti dei morti, li interrogavo e loro rispondevano specchiandosi nella mia vecchiaia, nell’ impotenza.

Ho letto molti libri, libri segreti che il prete mi ha permesso di consultare nella sua biblioteca, libri scritti in lingue diverse dalla nostra che parlano di civiltà progredite,  di macchine e navi volanti. Tu non sai, sei giovane, inesperto, quanto ho desiderato uno come te da potergli trasmettere il mio sapere,  il prete non ha voluto,  lui è solo per sé. Tu invece un libro aperto, pensi a lei, a quel che è accaduto, idea fissa, non vuoi credere e ti credi vittima di un complotto, ardi di passione!  Illuso! Lei ora è cibo per vermi, terra oppure cuoio per fasciare mummie.

Cos’è la bellezza, la gioventù se non un’illusione. Un artista queste cose Ie dovrebbe capire.”

"Un artista non capisce, vive!” 

Rise: “ah ah ah! star chiuso qui dentro a marcire ti pare vivere? Non rispondere, la tua giovinezza parla per te, anch’io un giorno lo sono stato, quel giorno è passato ed a cosa è servito? Nulla, polvere nel deserto, spiga per la falce della morte, ero arrivato ad un passo,  sarebbe bastato forse un solo giorno,  inutile, la mia ricerca, l’immortalità,  tutto finito.”

Il discorso del vecchio iniziava ad interessarci ma non ci fidavamo, quel suo occhio era un incubo,  fissava,  penetrava. Evitando di guardarlo dicemmo: “Solo gli dei sono immortali.”

Il vecchio rise a lungo sguaiatamente, solo il suo occhio non rideva e rimaneva fisso: "Gli dei? Quali dei? Tutti questi anni con il prete m’ hanno insegnato che non esistono dei,  sono una favoletta,  uno spauracchio per il popolino, null’altro. Conosco segreti che neppure il prete sa, non gli dicevo tutto, solo quel che volevo sapesse, la carta parla, intenderla è da pochi, solo gli eletti possono,  quelli che hanno il segno,  e tu…”

“Che cosa vuole?”

“Continui a non fidarti, temi che sia una spia, insomma guardami, non ti faccio pena? sono solo un povero vecchio, la mia vita, quel che è stato un giorno oggi non è più, il tempo non ha bisogno di indovini, la morte è l’unico futuro, io volevo vincerla, questo era lo scopo. Conosco segreti che cambierebbero il mondo se trovassi qualcuno che li ascoltasse.”

"Perchè non li ha venduti al prete in cambio della vita?”

“Quale vita? il prete non può cambiare il destino, a che serve uccidere uno che è già morto? Quale condanna più crudele della vecchiaia? Vedere i giovani vivere ed essere costretti a strisciare, ah ah ah! illusione la vita. L’immortalità, ecco il vero scopo! L’eterna giovinezza è il sogno, l’ideale da strappare alla rupe del fato.”

“Parole! Quello che è successo? Come abbiamo potuto? Tutto quel sangue, Ixo, cos’è stato? Vivere in eterno nel rimorso, nel dubbio, chiusi in una galera di disprezzo a marcire tra le risa dei servi! Quale immortalità? ''

L’occhio del vecchio è avvampato, avevamo l’impressione di vedere solo quello, di essere ipnotizzati dallo sguardo, dalle sue parole: “Dimentica, quel che è stato è ieri, una data incisa nel pensiero, nulla, acqua passata sotto i ponti dell’illusione, puoi aver sognato, il prete conosce droghe capaci di far credere quel che si vuole, tu non puoi essere certo.”

“Non ricordiamo nulla, tutto quel sangue, come abbiamo potuto?”

Eravamo nuovamente in preda all’angoscia.

L’indovino continuò: “Dimentica, non è mai accaduto, esiste un altro mondo dove nessun prete ti potrebbe ostacolare, dove tu potresti essere pura volontà e creare e dare vita alla tua arte, un mondo su misura, perfetto.”

“Parole!” esclamammo presi dal  delirio, “se  avesse potuto non sarebbe qui a marcire con noi.”

“Non ho potuto, è vero, ma potrei se tu mi aiutassi, gli artisti hanno il segno, la prospettiva per vederlo realizzato e tu sei uno scultore, il migliore,  il segno risplende sulla tua fronte, tu puoi se vuoi puro volere e continuare il mio lavoro. Guardami, sono vecchio, non ti faccio pena? Aiutami e morirò felice.”

“Avremmo pena di noi stessi!” rispondemmo, “ma non ci facciamo pena, tra noi e quegli scarafaggi  sul pavimento non c'è differenza, nulla siamo, nulla!“

“L’impeto dei giovani, ” continuò iI vecchio ammorbidendo la voce,  “una nave e l’orizzonte davanti, la gioventù passa ed il limite cala nella tomba inesorabile. Tu ora ti odi per una colpa orrenda che non sei certo di aver commesso, la tua coscienza ne è estranea mentre i tuoi pensieri lo desideravano, non sai più intendere il passo tra la realtà e la tua prigione, aiutami e ti aiuterò a superare questa angoscia.”

Il vecchio si chinò puntandoci l’occhio fisso sulla fronte e ripetè: " Se vuoi aiutarmi posso aiutarti.”

Guardammo quell’occhio sfidandolo: “Se lo può fare lo faccia altrimenti smettiamo questa farsa.”                                                              

“Lo faremo nel tempo ma tu devi promettere che ti ricorderai di me, voglio un contratto firmato col tuo sangue.”

“Lei è un povero pazzo e sta parlando ad un pazzo!”

“Siamo già morti, che importa?"

“Potremmo cambiare idea."

“Accetto il rischio.”

Siamo rimasti in silenzio a rimuginare su quelle parole. Che un vecchio in disgrazia venisse a farci simili proposte dentro una prigione puzzolente non ci convinceva, era assurdo, valutammo attentamente la situazione, lo stato in cui ci trovavamo e rispondemmo: “Lei è solo un povero pazzo e va farneticando di cose che non capiamo ma se conosce un modo per liberarci da questo peso e farci  uscire da qui ce lo dica e firmeremo quello che vuole!"

“Pensi ancora a lei ed a quel che è successo? illuso ma sei giovane, la giovinezza passerà, potresti volere di meglio e meglio non è mai abbastanza…”

“Parli!”

"La tua firma, un contratto ha le sue formalità, è una cerimonia, tutto deve essere in regola.”

"Per quel che vale la nostra firma, uno sgorbio, non sappiamo scrivere.”

“Tu sai e lo sai fare bene.”

“Non sappiamo!”

"Sono un indovino, nella mia sfera ti ho visto.”

"Lei vuole la nostra morte!”

“Sei già morto, una semplice firma.”

Quel che dicemmo dopo l’ho dimenticato, quell’occhio ci aveva ipnotizzati,  entrammo in un sogno, volavamo sopra le nuvole circondati da un mare di stelle in burrasca dentro una notte senza oscurità, era veglia ed era sonno, era suono ed era corpo,  carne,  impulsi,  vibrazioni,  orgasmo, vita!

Sensazioni rapide come il topo che si rifugia nel buco, vedevamo una sfinge di pietra incoronata dalle piramidi ed il deserto si era fuso con le stelle in un immenso oceano dove alla spiaggia c’era una nave e  frotte di bestie  che attendevano di salire.

La parola apriva un passaggio in un tumulto di sangue e la sfinge da pietra si mutava in carne e balzava sulle onde proiettandosi all’eterno, l’eterno appariva come parola ma era solo un giorno ed a ogni balzo era sempre un giorno, la porta era aperta sul vuoto e quel vuoto girava vorticoso, una spirale di nulla al di là del quale era solo luce abbagliante, una luce che penetrava,  annullava…

Ci risvegliammo con questa immagine, le guardie erano tornate e portarono fuori il vecchio, lasciarono un piatto di carne cruda e sanguinante che divorammo come lupi. Notte e giorno non esistevano più, poco dopo vennero a prenderci e ci riportarono nello studio.

La statua di Ixo era intatta, nessuna macchia di sangue che ricordasse l’accaduto. Abbiamo passato il giorno a lisciarla ed intanto la tenevamo calda col corpo. Quello che eravamo non era più, rimaneva una bistecca di carne e sangue per la fame di vivere.

Quella notte sognammo il vecchio, si era tolta la tonaca, era nudo, solcato da rughe profonde dove la putrefazione lottava con i vermi, intorno al suo ombelico era tatuata a fuoco la nostra firma  coperta dal sangue di Ixo, poi c’era una porta, ieri e oggi giravano col domani in un unico giorno che la penetravano e l’aprivano.

 Pazzia, solo pazzia,  quel che  abbiamo firmato non ha importanza, un sogno, nulla deve essere accaduto veramente.

Ora scriviamo, siamo ancora vivi, il tempo di finire la statua poi quel che sarà che importa? Un colpo di lama nel cuore ed il nulla, la libertà finalmente.”

 

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