capitolo 4 - Il bordello di Alessandria.

 




                          4      Il bordello

 

“Un messo in alta uniforme ha portato l’invito di Tolomeo per l’inaugurazione del bordello di Alessandria. Una carrozza con un tiro di nove buoi ed una scorta armata sono pronti all’ingresso. Per la clava di Ercole! E’ evidente che il nuovo re non si aspetta un rifiuto. Il precettore di Alessandro che lo ha tenuto in braccio da bambino e seguito nella conquista è una preda ghiotta da mostrare al popolino. Abbiamo accettato e preteso che il calligrafo ci accompagnasse. Non ci fidiamo a lasciare il libro solo con lui.”

“Siamo tornati. Una settimana di fuoco, non avremmo mai immaginato che alla nostra età una cosa del genere potesse ancora accadere. Siamo innamorati, pazzi furiosi, senza scampo. Il sangue ribolle, la carne brucia, la mente galoppa a pelo sulla furia dei sensi.

Per placare questa assurda debolezza   scriviamo dall’inizio quel che è avvenuto con la speranza di ritrovare la ragione perduta.

Passammo il mattino tra bagni profumati e massaggi poi scegliemmo l’abito per la cerimonia, nonostante gli anni il nostro fisico è ancora giovane e ci teniamo a far bella figura. Partimmo dopo pranzo, la carrozza procedeva lenta, il paesaggio scorreva dai finestrini, le case di Menfi, i palazzi, i templi, uscendo dalla città si aprì la piana con le croci, l’odore acre della putrefazione rendeva l’aria irrespirabile,  stormi di avvoltoi si accanivano sui resti dei suppliziati o volavano alti, compatti come nubi di fame da cui a turno calavano fulminei per continuare il banchetto.

Finalmente l’aria tornò pura e si aprì la strada, anche questa voluta da Alessandro, larga, diritta, il selciato di pietra, file di sicomori e di palme sui lati proiettavano la loro ombra proteggendoci dai raggi infocati del sole. Il calligrafo, il suo nome è Dante, sedeva di fronte a noi, il suo aspetto era artatamente gioviale ma leggevamo il cruccio nei suoi occhi. Sorbendo il latte fresco delle noci di cocco e sbocconcellando datteri iniziammo a parlare del libro. Fu Dante a rompere il silenzio non appena la distesa di croci scomparve alla vista.

Disse: “Questa storia pare assurda. Ho avuto sotto mano miliaia di testi e nessuno accennava a cose del genere. Che uno scultore, un volgare servo potesse esprimere tali concetti è inconcepibile, i nostri preti non trattano con gente simile. Un sogno scrive, dice e non dice, la statua di marmo arrivata dal mare, impossibile, non esistevano  civiltà al di là del mare."

“Che ne sappiamo?” ribattemmo, condividendo in parte le sue parole.

Dante continuò: “La nostra storia è tutta scritta, anno dopo anno, dall’inizio dei tempi. Potrebbe essere un falso, qualche burlone che si è voluto prendere gioco delle nostre usanze, della nostra religione.”

“Non dica queste cose a noi che della storia abbiamo fatto la nostra professione. Il passato rivive sui fogli di carta, chi scrive decide e chi scrive è sempre il più forte.”

“Queste sono parole sue,” disse Dante guardandoci con sospetto, “Un mostro! come spiega la strage ed il suo ardore per la statua? l’abbraccia, la scalda, pare un pazzo.”

Era letteralmente scandalizzato e ridemmo a quell’uscita: “Nulla di nuovo, nei nostri miti casi simili sono frequenti, Pigmalione ad esempio, anche lui si innamorò di una statua, potrebbe essere una riedizione egizia di quel fatto."

“I greci vivevano nel fango quando la nostra civiltà era all’apogeo!”

"Non è vero! Sappiamo di civiltà ancora più antiche della vostra.”

“Impossibile!”

Fuori dal finestrino i buoi muggivano assetati. Ci fermammo ad un oasi per abbeverarli e ne approfittammo per sbrigare quei bisogni che non si possono demandare ai servi. Ovattate dai riverberi solari lunghe file di piramidi s’allungavano verso l’orizzonte, un immenso cimitero, mai vista tanta passione per la morte come in Egitto.

Ripreso il viaggio, per ingannare l’attesa, parlammo del nostro passato, Dante ascoltava attento.

“Lei si stupisce dell’adorazione per la statua, conoscevamo uno che di cose simili fece un sistema logico. Ha sentito parlare di Platone?”

"Solo accenni, filosofia, sofismi, aberrazioni, se la faceva coi bambini.”

"Ha letto il Simposio?”

"Non ho letto nulla, solo sentito dire.”

"Lei ci diverte. Noi eravamo bambini nell’Accademia di Platone e ricordiamo la bacchetta che usava per le punizioni, per il resto il nostro culo rimase intatto.

Lui insegnava l’idea, il modello di perfezione. Omer vedeva la perfezione in Ixo e la uccise per  trasferirla nell’ideale. Non poteva amare lei, amava la statua.”

''Se lo dice lei. Che cos’è l’idea?”

"Non lo sa? Capiamo, la vostra civiltà ha perfezionato l’arte di imbalsamare e celebrare i morti ma per il resto avete molto da imparare. L’idea è lo stimolo che muove l’uomo nel suo cammino lungo la storia. Platone diceva che ogni cosa tende all’idea ma conoscevamo un altro che la pensava diversamente.”

“Non ha detto che cos’è."

“Per la clava di Ercole!” esclamammo spazientiti da tanta ottusità, “l’idea è una cosa che non si può toccare o descrivere. Lei ha un’opinione del bene?”

“Certo! L’osservanza della religione, la vita in famiglia ed il lavoro.”

 “Platone insegnava che ogni cosa, animali, piante, così come l‘architettura, gli oggetti ed i ragionamenti tendono alla perfezione e questa perfezione la vedeva nell’idea. Aveva teorizzato una sfera dove l’essere universale aveva i suoi archetipi di perfezione. Il cavallo più bello per la cavallinità, l'uomo più virtuoso per l’umanità, la ragione del filosofo per le opinioni della massa.”

“Allora? I nostri morti sono esempi di vite illustri a cui confrontarsi! Lei non considera la magnificenza e la maestà della nostra arte!"

“Si tratta comunque sempre di morti, se intende che i morti sono idee voi tendete alla morte.”

“La morte è solo un passaggio, Osiride risorge dalla terra.”

“Quando lo vedremo risorgere, per il momento le mummie sono ancora tutte imbalsamate. Lei ha letto il Fedone?”

“No.”

"Ha fatto male, Platone scrive del dialogo che avvenne tra il suo maestro Socrate in punto di morte ed alcuni discepoli e tratta di come l’anima si reincarni tendendo, nascita dopo nascita, alla perfezione dell’idea.”

“Socrate è morto?”

“Si”

“Ed è tornato a confermare la sua tesi?”

 "Questo non si sa.”

“Come le nostre mummie allora.”

Per la clava di Ercole, Dante iniziava ad indispettirci ma dovemmo ammettere che aveva ragione. La cosa lo inorgoglì, si rilassò e chiese:

“Per quale ragione non è rimasto ad Atene?"

“Il nostro fato voleva diversamente. Fu la guerra, la fame che decise per noi. All’Accademia avevamo un amico, nostro coetaneo, con cui ci trasferimmo da Stagira per studiare ad Atene. Il suo nome è Aristotele, una mente unica al mondo, il miglior allievo di Platone ed anche il suo peggior nemico, le sue critiche lo stroncavano, a quante liti assistemmo. Alla morte del maestro lasciammo Atene e ci imbarcammo per l’ltalia, poi Filippo lo chiamò come precettore per il figlio e volle anche noi. La paga era principesca ed accettammo.

Alessandro a quei tempi aveva tredici anni, era vivace, geniale. Il padre aveva previsto la sua potenzialità e per la sua istruzione voleva il meglio. Aristotele stava elaborando il suo sistema e gli insegnava la logica per catalogare l’essere in nome e forma mentre noi gli insegnavamo la storia, gli esempi ideali e di come gli uomini si muovevano dietro a questi."

“Era un buon allievo?”

"Non sempre, come tutti i giovani seguiva le sue passioni e veniva alle lezioni solo quando aveva voglia ma a noi non importava, la paga era buona, il vitto eccellente e avevamo tutto il tempo che volevamo per continuare i nostri studi. Alessandro già allora era ossessionato dalla morte e voleva vincerla. Il suo ideale era Ercole, come lui si credeva figlio di un dio ed ambiva all'Olimpo. Quando il  padre morì  vide un segno del fato, voleva l’immortalità  e cercava l’impresa, conquistare il mondo, per guadagnarsela.”

“Ercole è morto?” chiese Dante con evidente ironia.

“Ercole è un mito, una favola rappresentata della realtà!”

“Se non sbaglio arse vivo sull’Oeta urlando di dolore.”

“Il fuoco distrusse la sua forma materiale per liberare l’ideale divino.”

“Anche i nostri morti sono cauterizzati primi di avvolgerli nelle fasce:”

Ignorammo la battuta e continuammo: “Aristotele tornò ad Atene dove con i soldi che aveva messo da parte intendeva fondare una scuola mentre noi decidemmo di restare. Il principe era intelligente e prediligeva i nostri insegnamenti.

A quei tempi il mondo era illuminato dal modo di vivere dei greci, la libertà, i commerci, l'artigianato, la ricchezza, i teatri, la politica, si scontravano con il governo repressivo dei persiani e i popoli agognavano quell‘ideale. Il momento era propizio per realizzarlo, le falangi di Alessandro trovarono porte aperte ovunque, i suoi eserciti marciavano sul tappeto dell’idea."

“Adesso pare che la sua salma stia arrivando in Egitto per essere imbalsamata, un’altra mummia.”

"Il corpo non ha importanza, la sua anima immortale sta con gli dei.”

“Lo ha visto?”

“No ma a lui piaceva crederlo ed a noi che importa?” Rispondemmo piccati.

Continuammo a parlare delle avventure e dei fatti portentosi avvenuti durante la conquista fin quando il discorso cadde sulla Sfinge.

“Perchè tanto interesse?” chiese Dante.

“E’ una storia lunga. Alessandro era stato colpito dal mito di Edipo e della Sfinge, il mostro alato col corpo bestiale e la testa di donna che pone gli indovinelli ai passanti, lo spauracchio dei bambini greci. La cercava, voleva sfidarla, riteneva impossibile che Edipo l’avesse uccisa e varianti del mito lo confermavano. Cercava in tutti i modi di imitare Ercole ed alla facilità delle sue vittorie vagheggiava I'impossibile. Quando vide la Sfinge a Giza credette d’averla trovata. “Solo gli dei possono averla costruita!” diceva, “La Sfinge volò via da Tebe e venne a posarsi in questo deserto ed ora attende qualcuno che la risvegli!”  Alessandro era certo d’essere lui quel qualcuno e ci lasciò ad indagare in attesa del suo ritorno.”

“Trova la cosa logica?”

“Che importa? lui comandava e noi ubbidivamo.”

“Ora che è morto a che scopo continuare la ricerca?”

“Ce lo siamo chiesti anche noi, evidentemente l’interesse ha contagiato altri.”

Sosta dopo sosta continuavamo a parlare, il tempo volò, il mare era in vista ed Alessandria, la città che sorgeva.

 

 

I papiri successivi erano incollati, li inumidimmo con la spugna e intanto seguivamo il ragionamento senza lasciare nulla al caso, prendevamo in considerazione anche le interruzioni come pausa di riflessione: le mummie di Dante, il mito che fascia la mummia di Ercole e la lite tra Platone ed Aristotele. Andammo a sfogliare l’enciclopedia di filosofia, l‘idea a priori specchio positivo dell’universale di Platone nello Stagirita è il nome della specie. All’idea immagine intelligibile di perfezione è contrapposto un nome, una parola. La statua di Omer è immagine, dov’è la parola e come vedere le mummie? Un problema logico interessante, sedemmo al tavolo per riscrivere in bella copia la traduzione dal greco all’italiano del testo.

Alì girava intorno fingendo di spolverare ed allungava il collo per sbirciare quel che facevamo.

“Vuoi sapere?" gli chiedemmo.

“Non so, se vuole, è una favola? A me piacciono le favole.”

"Sì, è una favola, ascolta."

Mentre scrivevamo leggevamo a voce alta ed Alì era  tutto orecchi. Alla fine rimase qualche secondo pensoso e disse: “Perchè tanto interesse per la Sfinge? è solo pietra, le pietre non volano, Allah non lo permetterebbe.“

"A quei tempi Maometto non era ancora nato. Forse credono che dentro la Sfinge ci sia un tesoro oppure il segreto dell’immortalità e cercano di aprirla."

"Come nella storia di Alì Baba?”

“Quale storia?”

Si mise a raccontare in modo concitato, gesticolando e mescolando arabo e inglese: “Sherazade la raccontò al sultano per salvarsi la testa, Alì Baba era un bambino povero, un giorno vide dei ladroni nascondere il loro bottino dentro una grotta chiusa da un macigno grosso come…” fece vedere con le braccia strabuzzando gli occhi da tanto era grosso e continuò: “I ladri ammassavano oro e gioielli nella grotta ed Alì Baba non capiva come facessero ad aprirla, quella pietra quando si chiudeva pesava tonnellate e diventava impenetrabile, non c’erano serrature, niente.

Un giorno li spiò da vicino e vide che un ladrone si avvicinava alla porta e diceva una parola e il masso si apriva. Quando i ladroni se ne andarono uscì dal nascondiglio e ripetè la parola, la porta si aprì e lui si prese tutto il tesoro e divenne ricchissimo. La parola era: “Apriti Sesamo.”

In quel momento il muezzin iniziò ad urlare dal minareto ed Alì si precipitò fuori a inginocchiarsi nella polvere.

Noi eravamo di sasso. Conoscevamo la favola ma solo in quel momento la associammo al contesto. “Apriti Sesamo!” mentalmente scomponemmo la parola e con sorpresa vedemmo che Sesamo è l’anagramma di Amoess, il faraone fuggito. Annotammo sul diario ed uscimmo all’aperto. Sabbia infocata, sole, sciami di moscerini ovunque. Alì aveva terminato la preghiera.

 “Che c’è per pranzo?" chiedemmo.

“Spezzatino di montone e cavoli, quelli di ieri."

Il nostro stomaco si ribellò: “Ancora? ti avevo detto di andare al mercato.”

“Al mercato c’era solo quello.”

“In tal caso pranzeremo alla locanda, vieni anche tu, accompagnaci.“

Una costruzione in pietra per viaggiatori con vista sulle piramidi. Servivano solo spezzatino di montone e zuppa di cavoli e la zuppa doveva essere di una settimana.  Pranzammo in silenzio ignorando le risatine di Alì.

Per digerire ci volle una lunga passeggiata a cammello, al passo, senza fretta, raggiungemmo la Sfinge e provammo a dire: “Apriti Sesamo!"

La pietra rimase impenetrabile.

Tornammo a casa di buon umore e riprendemmo il lavoro.  Il papiro si staccava a pezzi e molti erano illeggibili. Sistemammo i frammenti puliti per continuare la traduzione.              

 

“Taide era più bella che mai, splendeva tra le donne nonostante l’età, l’alone del potere di Alessandro la circondava.  Tolomeo le teneva la mano e sbavava, dalla confidenza con cui le parlava capimmo che il cambio di padrone era già avvenuto. Gli invitati erano numerosi, il pranzo sontuoso, i vini prelibati, ogni cosa curata nei dettagli, durante il banchetto sedevamo a fianco di un grande sacerdote del tempio dl Menfi, notammo il suo occhio sinistro nero e fisso mentre l’altro lo teneva socchiuso. Ci guardava continuamente con quell’occhio malevolo ammiccando con sorrisetti ambigui ma non scambiammo una parola.

Il bordello ricalca lo stile faraonico, Alessandro ha voluto le cose in grande e fatto arrivare artisti da ogni parte del mondo, il tesoro rubato ai persiani glielo permetteva. Taide per tutto il tempo ha evitato il nostro sguardo.

I saloni rilucevano di marmi e graniti tirati a specchio, statue dorate, affreschi, fontane dai getti fantasiosi d’acqua e di vino riempivano l’aria di melodie gorgoglianti, il profumo di vino mescolato al cinnamomo unito alle grida eccitate delle ragazze che danzavano seminude tra veli svolazzanti e luccichii accompagnate dai cembali e dai liuti inebriava.

Gli efebi sedevano in braccio alle statue in posizioni piccanti o svolazzavano sopra la stanza legati a funi in costumi di amorini alati.

Terminata la cerimonia di inaugurazione Tolomeo in persona venne a prenderci e con una cortesia che ci sorprese ci accompagnò nella camera a noi designata lasciandoci con un sorrisino ammiccante.

II pavimento era cosparso di soffici tappeti color carne e cuscini dalla forma di peni enormi, culi torniti e cose simili, ovunque statuette di ossidiana rappresentanti satiri allacciati a ninfette procaci nelle più svariate posizioni, stesse rappresentazioni affrescate alle pareti in boschetti ameni, spiagge dalla prospettiva infinita, sirene e tritoni nel fondo del mare amoreggiavano tra coralli e pesci dorati. Al centro troneggiava un letto monumentale a forma di cigno sospeso sopra una vasca d’acqua gorgogliante, sul soffitto un intricato gioco di specchi sistemati in modo da riprendere il letto nelle più svariate posizioni.

L’aria profumava dei fiori di loto che galleggiavano nella vasca.

Il cigno con movimenti lenti apriva le ali e le batteva scroscianti d’acqua girando su se stesso.

Per la clava di Ercole, eravamo eccitati dal vino, ci sentivamo leoni in caccia e bramavamo il sangue.  Quando la vedemmo Amore scoccò la freccia, fu immediato, saettante, micidiale.

Ai bordi della vasca c’era una grande conchiglia d'ambra trasparente incisa a voli di colombe tra arcobaleni e nuvole dalle forme eccitanti colorati con acquamarine che luccicavano come braci, la valva superiore si aprì di un palmo, apparvero due occhi grandi simili a smeraldi vaghi di timore e curiosità contornati da una cascata di capelli d’oro a cui si aggiunse un nasino delizioso ed una boccuccia dalle labbra carnose ed eccitanti tinte di rosso che disse:

“Spero che tu non sia un culattone!“

La voce era spigliata, morbida e acerba, femminile e bambina.

Rimanemmo in silenzio. La valva si aprì completamente scoprendo un corpo adolescente, perfetto, coi seni duri e procaci che spiccavano dalla sottoveste trasparente come acqua.

"Che fai lì impietrito, muoviti bamboccio!” disse con tono di comando, modulando la voce per farla sembrare adulta.

Con un guizzo felino saltò fuori dalla conchiglia atterrando plastica sulle punte dei piedi, una visione! Alta, perfetta, eccitante, una cascata di capelli dorati pettinati alla selvaggia la ricopriva fino ai lombi. Il corpo era abbronzato, completamente depilato e splendeva di luce propria.

Ci prese per mano dicendo: “Sbrigati, non ho tempo da perdere!“

Ci spogliò con arte sollazzandosi a tastarci i muscoli ed il ventre e ci immerse nella vasca lavandoci con professionale destrezza.

Un bagno inebriato dal suo corpo che profumava di carne fresca, sodo, vibrante. “Come ti chiami?“ le chiedemmo.                                              

Lei scosse i capelli in un gesto infastidito e rispose: “Che ti importa? è solo lavoro! Però, sei stagionato ma ancora in tiro.”

Sentivamo la forzatura delle sue parole, fingeva: “Non fare la stupida, ne ho viste come te, dimmi il tuo nome.”

Lei schizzò inviperita: “Sempre così! Poi dirai che potresti essere mio padre o mio nonno e ti farai la solita sveltina."

La presi per i capelli, la strinsi e ripetei: “Come ti chiami?"

La sua voce divenne vocina: “lxo.”

A quel nome ci sciogliemmo nella vasca.

“Che ti prende?” chiese con voce normale.

“Non abbiamo più voglia, vattene.” rispondemmo.

“Eh no!  il lavoro è lavoro, adesso sei qui e ti concio per le feste."

Eravamo confusi, prima il prete con quell’occhio ed ora Ixo, solo un caso? Il suo corpo caldo trasmetteva ondate di fuoco che si facevano ad ogni attimo più roventi.

Riprendemmo il controllo: “Non fare la stupida, scommettiamo che sei ancora vergine.”

Lei si impietrì avvampando di rossore in tutto il corpo: “Chi te lo ha detto?“

“Non ti hanno insegnato a controllare le emozioni?”

Lei digrignò i denti: “Io sono una troia!” disse, marcando le parole una ad una.

Da dove vieni? il tuo accento non è egizio.

Rispose, guardandoci con odio: “Da Tiro, foste voi a prendermi! Ero, sono libera! Maledetti.” iniziò a piangere, il suo corpo sussultava e le lacrime la rendevano estremamente eccitante, d’istinto le sfilammo la tunica  e la accarezzammo, nel farlo immaginavamo di plasmare l’estasi dei sensi, creare, era creare.

Lei smise di piangere stupita delle nostre mani e delle reazioni del suo corpo, il leone ruggiva, la preda si scopriva leonessa e ruggiva, ci abbandonammo al vento della creazione, l’arte dell‘istinto, la prendemmo e gettammo sul letto poi ci catapultammo sopra, lei strillò e ci capovolse e rotolammo, cademmo, ci rialzammo per rotolare e musica era l’urlo, il gemito e l’ansito della preda predatrice, la freschezza, la gioventù, la perfezione, lo spensierato non sapere dei sensi guidato dalla passione cieca e sorda come il fuoco che avanza bruciando tutto quello che incontra, noi eravamo lei, una cosa sola e lei mordeva e mordevamo, i denti affondavano nella carne, il sangue sprizzava, il dolore era estasi sublime, assenza di materia, puro piacere.

Avemmo un attimo di lucidità, rientrammo in noi e ci sembrò di rivivere il racconto di Omer, fummo presi da un oscuro presentimento. Ci alzammo, rivestimmo ed uscimmo senza dire parola lasciandola intatta. Nel corridoio ci scontrammo contro un gruppo di persone che sembravano aspettare fuori dalla porta. Cercarono di trattenerci ma riuscimmo a liberarci e tornammo nel salone.”

 

Il frammento si interrompe, questa sera fa maledettamente caldo, i nostri anni pesano come macigni sovraccarichi d’impotenza. Ordinammo ad Alì di spaccare una noce di cocco e bevemmo il latte con furore.                         

 

                          Così e cosà.


 

Riflettore di scena puntato su se stesso, un attimo, padiglione illuminato, lo Sguardo smette di leggere e s’accomoda compiaciuto.

Secondi di silenzio scanditi dallo sgocciolare lento del tempo, soffuso ed impalpabile concerto di tarli che rodono nel profondo della mummia, il buio della cripta, forme appuntite di tenebra impenetrabile.

Esopo emette un lungo sospiro e dice: “Perdonatemi...che storia, di scoperta in scoperta scende e risale, un secchio nel pozzo…perdonatemi, se non ci fossi io, qui tutti mi disprezzano ma…”

“Sei intelligente." dice lo Sguardo, guardandolo con sempre più interesse.

“Cosa”... perdonatemi, che ha detto?” gira la testa spaventato guardandosi intorno, “Intelligente, io?…perdonatemi, non lo dica, se lo sentisse l’idiota, qui è sempre colpa mia, mi disprezzano tutti, sempre addosso a me, qualsiasi cosa succeda ed io, perdonatemi, eh?”

"Di che cosa ha paura?”

“Eh?...perdonatemi, adesso penserà…paura?…non è paura, è...è  come dire, non è paura, è…sempre così, qui tutti mi disprezzano, ma...ha letto? ha visto? perdonatemi, come si fa? sempre così, l’abitudine, sempre da solo, mentono tutti e se succede qualcosa la colpa è sempre mia, ecco! Perdonatemi allora, guardi in che stato sono, io vorrei ma non posso, se potessi...perdonatemi, che altro potrei fare? Morire? vuole che mi uccida? Perdonatemi, io vorrei, quante volte l’ho pensato, ho provato...ho provato e riprovato, nemmeno la morte mi vuole, perdonatemi, eh?”

“Forse è lei che si disprezza.”

“Dice?…eh?…perdonatemi, non mi guardi così, sono timido, imbarazzato, i suoi occhi... perdonatemi, anche il vecchio lo diceva, lui parlava solo con me... il suo libro, diceva: “E’ tutto scritto qui” ma non ce lo leggeva, perdonatemi, non voleva che mi avvicinassi ed ora... perdonatemi…che storia, si sbranano, che amore è?”

“Ce l’ha una ragazza?”

"Eh? Perdonatemi, che ha detto? Una ragazza?...vorrei, se potessi...ma come faccio? qui è sempre colpa mia, perdonatemi…”

“Ci sono le serve, ha provato? Sembrano bene intenzionate da quel lato.”

“Le serve dice?...perdonatemi, quelle la danno a tutti ma con me...perdonatemi, così, senza soldi... eh? ha capito?... che amore è?”

“Cannibalismo, interessante, un punto di vista veramente interessante.”

“Perdonatemi, lo diceva anche il vecchio, son tutti cannibali là fuori, stava sempre chiuso qui col suo libro, i cimeli, le mummie e la statua, le parlava, perdonatemi, io lo dicevo, qui mi disprezzano tutti ma…usciamo, prendiamo un po' d'aria...lui non ne voleva sapere, "qui ho tutto quello che occorre!” diceva, perdonatemi... certe volte sembrava pazzo, era vecchio, vecchissimo...mi disprezzava come tutti però parlava, perdonatemi…come ad un muro ma parlava, eh?…ha capito?…”

“No, di che cosa parlava?”

“Ecco! Lo sapevo, adesso penserà che...non so, perdonatemi...di che cosa parlava? Di quando era giovane e di suo nipote...anche lui, perdonatemi, l’avesse visto, sempre lo stesso, lui non mi disprezzava ma era peggio, quando c’era lui io non c’ero, non so, perdonatemi… eh?”

“Gli voleva bene?”

"Al nipote? perdonatemi...lui voleva bene solo alla statua, l'accarezzava, le sue mani…faceva scorrere le dita sul marmo in un modo che...sembrava fosse viva, perdonatemi…proprio così, sembrava di carne, per lui lo era, il nipote invece...come dire? Il nipote qui lo invidiano tutti, anche lui, ed io...tutti mi disprezzano, quando succede qualcosa…perdonatemi eh?”

“I padroni in che rapporti erano col vecchio?”

Esopo si abbuia: “Meglio non parlare di loro...nessun rapporto.”

Lo Sguardo prende la lettera trovata nella stanza del giovane: “Qui è scritto che sono servi!”

“Perdonatemi, gliel’ho detto, qui una volta così una volta cosà, come si fa? forse, può essere, adesso comandano loro, chi comanda è padrone, perdonatemi eh?”

"Verità indiscutibile. Il vecchio parlava della nipote?“

“Lei? No, perdonatemi, almeno non con me...qui mi disprezzano tutti ma… perdonatemi, di lei non parlava mai, solo la statua, aveva sistemato il sarcofago vicino, ha visto, sapeva di dover morire, ha capito, eh?”

I sarcofaghi sono due, aveva previsto anche la morte della nipote?”

“Chi può dirlo? Perdonatemi, lui era vecchio, vecchissimo, decrepito ma aveva una cultura, sapeva, vedeva il futuro, forse…”

“Interessante, una pazzia molto originale, incertezze, sospetti, menzogne, parli del tesoro.”

“Il tesoro?...eh? Il tesoro...perdonatemi, qui lo cercano tutti...il vecchio, lui diceva che l’aveva trovato ma nessuno l’ha mai visto…dentro la sfinge, rideva, diceva: una ricchezza così solo per me, una ricchezza da comprare l’universo, tutto, tutto, una ricchezza che ...perdonatemi, il vecchio lo diceva, come si fa? Perdonatemi, qui lo cercano tutti.”

“Un ottimo movente, che altro diceva il vecchio quando parlava della sfinge?"

“Perdonatemi, ne diceva...ha letto, lui ha scritto quel libro.”

“Due secoli fa ed aveva settantanni.”

"Perdonatemi...adesso penserà...eppure è così, altrimenti come? Vecchio vecchissimo...lui sapeva che tutti cercavano quel tesoro e rideva, diceva che erano pazzi, solo lui poteva capire, si divertiva, diceva: “Non è nello spazio è nel tempo, lo cercano dentro e lui è fuori, lo cercano fuori e lui è dentro.” e poi rideva, perdonatemi, qui mi disprezzano tutti ma..."

Esopo si interrompe per un rumore nella cripta, un colpo secco con  rotolare di frantumi.

“Perdonatemi...cos’è stato?...qui, tutti questi morti, non si sa mai…”

"Andiamo a vedere.”

Riflettore di scena puntato sulla statua di Iside, il lenzuolo che la  copriva è caduto ed appare nuda, bellissima, ideale luminoso nella luce proiettata. Il sarcofago del vecchio è andato in pezzi, nell’altro la vittima si è girata ed il vecchio la sta inculando con il piolo di legno. L’immagine è statica, il movimento solo immaginabile, un fragore di libidine repressa che esplode impalpabile, impercettibile.

“Perdonatemi, ha visto che roba?...adesso penserà..."

"Perchè trasferire all'interno quel che è all’esterno?”

“Questo...perdonatemi, lo diceva anche il vecchio, come fa?…”

La forma di barca antropomorfa del sarcofago è gonfia, pulsa, lo Sguardo lo tocca, le dita tastano carne, movimenti di sangue, energia che scorre. I corpi del vecchio e della vittima sodomizzata sono freddi, cuoiosi.

Il riflettore si sposta scorrendo sui padiglioni seguito dallo Sguardo e da Esopo. All’interno, movie meccanico, l'orgia. Uomini donne, animali avvinghiati in posizioni paradossali, tori con cazzi enormi che inculano donne che sbranano cazzi in fontane di sangue, prostitute col cartellino del prezzo in esposizione, le bocche rosse, i canini aguzzi e luccicanti, caproni le leccano mentre negri muscolosi le battono coi loro cazzoni risonando tam tam di carne eccitata, tigri e leoni con teste umane uno sopra l’altro in copule doppie, triple tra ruggiti e brani di carne sanguinolenta ingoiata con foga, demoni orrendi  sfondano il culo a suorine immacolate tra vampate di fuoco e urla di dolore compiaciuto. Il riflettore continua il suo viaggio nel sogno puntandosi su un braciere al centro della cripta.

Dentro c’è un rotolo di carne in decomposizione, nella poltiglia fosforescente brulicano in un apparente caos migliaia di vermi. Odore acre di metano. Sul bordo della conca una lettera.

Lo Sguardo chiede: “Questo cos’è?”

“Perdonatemi, adesso penserà che...non so, che ci fa?...che puzza…non l’avevo mai visto, come lo spiega?"

Lo Sguardo prende il foglio e tornano nel padiglione.

“Perdonatemi, ha visto?…che le dicevo, sono di cera ma ogni volta è così, oppure cosà, non si può mai dire, il vecchio si divertiva, lui di notte…uno spasso diceva, qui c‘è tutto, tutto !"

Lo Sguardo si è riseduto al tavolo ed il riflettore si punta sul foglio dove è scritto :

“Non credere a nulla di quello che vedrai o sentirai qui dentro. Perchè non ci vuoi vedere? tu sai, noi siamo una cosa sola divisa da miliaia di anni, quali anni? Un doppio ci sostituisce ma il doppio non è che illusione, noia, impotenza, noi siamo ancora gli stessi, sempre uguali, sempre diversi, come ci piace, cascate di piacere, oceani, universi. I servi sono diventati padroni, hanno seminato la strada di trappole, di inganni, di menzogne ma non riusciranno a fermarci, noi siamo, loro credono.

Non ti ho mai dimenticata, il tuo ricordo vive in noi ma il tuo ricordo è nulla, tu sei, noi siamo! Dobbiamo uscire da questo castello, è una trappola, non esiste, un sogno proiettato nella mente. Se leggerai questa lettera cerca di capire, il segno ha la forma del codice ed è stato invertito, appare ma non è perchè sta sotto, va scoperto, le indicazioni portano all’abisso, dobbiamo fidarci solo del nostro istinto, del nostro amore, l'unica verità.”

Esopo dice: “Questa lettera…adesso penserà...perdonatemi, io non so, com’è possibile, chi ce l’ha messa?”

Lo Sguardo la confronta con la precedente: “Sono scritte con la stessa macchina, il mistero si infittisce, potrebbe essere un inganno, voglio parlare con i padroni."

“Perdonatemi, loro...forse ma non oggi...loro sono come dire…sono e non sono, solo quando vogliono ed allora ecco! Perdonatemi, loro l’hanno fatta chiamare, qui mi disprezzano tutti ma…”

Lo Sguardo posa le lettere sul tavolo col martello sopra e dice: “Mangerei volentieri qualcosa.”

“Perdonatemi...se vuole salgo, sono avanzati i cavoli.”

“Nient’ altro?”

 

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